Parecchi turisti appassionati di storia, numerosi ricercatori, moltissimi pazienti. Al personale della clinica Quisisana di Roma capita spesso sentirsi chiedere: «Gramsci è morto qui, sapete dove?». La risposta è sempre molto educata: «Mi spiace, non lo sappiamo». Quasi sempre arriva un’altra domanda: «Ma perché non c’è una targa a ricordarlo?». La nuova risposta è identica alla prima.

IL GRANDE INTELLETTUALE sardo antifascista passò qui, in cima al quartier Parioli, gli ultimi venti mesi della sua vita: alla Quisisana arrivò il 24 agosto 1935 sotto «sorveglianza poliziesca severissima» con «tre poliziotti giorno e notte», fino al 27 aprile 1937, quando morì per «un’improvvisa emorragia cerebrale».

Già nel marzo 2017, in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte, la richiesta divenne istituzionale: a richiedere una targa fu il municipio II di Roma. Negli ultimi mesi la sollecitazione è stata fatta dalla Fondazione Gramsci e direttamente dal Comune di Roma.
Dopo il fermo diniego dell’attuale proprietà della clinica, ora arriva l’appello lanciato da un gruppo di studiosi – primo firmatario è Fabio Fabbri, già docente di storia a Salerno, alla Sapienza e a Roma Tre – e intellettuali che il manifesto appoggia e sul quale aprirà da oggi una raccolta di firme sul nostro sito.

Se vuoi aderire e firmare l’appello clicca qui

la clinica Quisisana di Roma

A ottobre è stato l’assessore alla Cultura del Comune di Roma Miguel Gotor a contattare la proprietà sulla «possibilità, richiestaci da molti comitati di cittadini, di ricordare con una targa Antonio Gramsci nella clinica in cui fu ricoverato e morì. La targa potrebbe essere collocata sul muro esterno della proprietà».

La clinica Quisisana, «un piccolo gioiello di architettura di inizio secolo», è stata fondata da una congregazione di suore svizzere che nel 1983 hanno venduto a Eurosanità, della famiglia Ciarrapico, di chiare simpatie destrorse. La scusa è proprio questa: «Noi rispondiamo della nostra gestione, non sappiamo niente di Gramsci, non abbiamo alcun documento e neanche la cartella clinica che spesso ci viene richiesta da studiosi di tutto il mondo», fa sapere informalmente il personale della clinica.

Contattata dal manifesto, la proprietà ha ulteriormente specificato la motivazioni del diniego con ragioni particolari. «La cittadinanza per ovvie ragioni non potrebbe avere libero accesso alla struttura sanitaria e alle sue pertinenze», scrive il presidente del Consiglio di Amministrazione Maurizio Martinetti.

A ULTERIORE RICHIESTA di specificare «un elenco delle personalità del campo politico, imprenditoriale, nazionale ed internazionale, e, comunque, di personaggi noti deceduti nella Clinica» che avrebbero fatto richiesta di una targa, la proprietà si è trincerata dietro «la normativa Gdr e il Codice della Privacy».

Una ricerca non fornisce grandi risultati: oltre a Gramsci, l’unica «personalità» morta alla Quisisana citata sui media è Giuseppe Ciarrapico, padrone della clinica, deceduto qui nel 2019.

Le targhe dedicate a Gramsci invece sono molte. Claudio Laudisa, altro grande fautore dell’appello, ne ricorda varie: «Una in lungo Dora Firenze 57, prima casa in cui abitò a Torino, una in piazza Carlo Emanuele II 15, dove ha vissuto e dove oggi sorge un hotel di lusso, e l’altra in Via dell’Arcivescovado 6 dove fondò “Ordine nuovo”. Dunque – si chiede Laudisa – l’hotel di lusso a Torino sì, la Clinica Quisisana a Roma no: ma non sono tutti e due privati?», chiude polemico.

LA STORIA di Gramsci alla Quisisana è stata, come tutta la sua vita, piena di avventure e soprusi: «Gramsci era ricoverato in stato di detenzione nella clinica Cusumano di Formia dal dicembre 1933 – spiega Maria Luisa Righi, capo redattrice dell’Edizione nazionale degli scritti di Gramsci – . Lì era detenuto anche il generale Luigi Capello che aveva tramato per un attentato a Mussolini. I carabinieri controllavano entrambi. L’inadeguatezza delle cure ricevute, inducono Gramsci a chiedere un trasferimento: una clinica di Fiesole specializzata in malattie nervose è respinta dal governo fascista. Gramsci propone allora quattro cliniche romane. I Carabinieri autorizzano la Quisisana perché è più facilmente sorvegliabile. Tania (sorella della moglie Giulia, che l’accudirà per tutto l’ultimo periodo, ndr) conosce bene il chirurgo Vittorio Puccinelli, la cui moglie è russa come lei. Il 24 agosto ’35 arriva alla Quisisiana. A coprire le spese si è impegnato il Comintern. Gramsci è curato dall’illustre clinico Cesare Frugoni, ma non migliora. In vista della imminente libertà condizionale chiede alla famiglia di trovargli una sistemazione a Santu Lussurgiu, dove aveva fatto il ginnasio, e a luglio del ’36 la sorella Teresina ha già un accordo per una casetta. Ma Gramsci non abbandona la possibilità di essere estradato in Urss per unirsi a Giulia e i figli (la bozza della richiesta di espatrio è redatta da Sraffa il 18 aprile ’37). Qui morì all’alba del 27 aprile».

LA SALMA di Gramsci fu portata al cimitero del Verano in una giornata di pioggia alla presenza dei soli Tania e del fratello Carlo, nel frattempo fu fatto il calco del viso, conservato al museo di Ghilarza. Solo nei giorni seguenti il corpo fu traslato al cimitero acattolico di Testaccio.