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La memoria europea del comunismo

La memoria europea del comunismoFalce e martello – Andy Warhol

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 24 settembre 2019

Ha fatto giustamente discutere il documento approvato dal Parlamento europeo e intitolato “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” nel quale si attribuisce direttamente al patto Molotov-Ribbentrop la responsabilità di aver causato la seconda guerra mondiale, e si ripete in molti passaggi che nazifascismo e comunismo sono stati totalitarismi speculari.

Ne ha scritto qui domenica Angelo d’Orsi e non serve ripetere quanto arbitrarie siano certe interpretazioni, chiaramente orientate, leggendo testo della risoluzione, dal punto di vista dei paesi dell’Unione che hanno alle spalle la storia dei regimi filosovietici, proprio quelli in cui oggi più si manifestano tendenze illiberali e risorgono atteggiamenti razzisti e rigurgiti neo nazisti.

Basterebbe del resto osservare come in questo testo manchi ogni considerazione sulle esitazioni e i compromessi occidentali rispetto al nazifascismo e ogni riferimento al “patto di Monaco”, che precedette quello tra Germania e Unione sovietica, e che nulla si dica del ruolo essenziale svolto dall’Urss per la sconfitta di Hitler, con il sacrificio altissimo dei suoi soldati e del suo popolo.

Aggiungerei che nemmeno il “revisionista ” Nolte, al termine del suo volume sulla “Guerra civile europea”, istituiva una uguaglianza nel giudizio morale tra il progetto di “Stato razziale” propria del nazismo è quello di uno “Stato dell’umanità” promesso dai bolscevichi.

Tuttavia non posso fare a meno di manifestare un disagio.

Proprio chi non rigetta il nome comunismo, vedendo ancora in questa parola la radice di un bisogno alternativo allo “Stato delle cose presenti”, dopo aver denunciato grossolane falsificazioni e respinto inaccettabili equiparazioni con il nazifascismo, non può rimuovere il problema della costruzione di una memoria rigorosa su che cosa ha significato per l’Europa, e per il mondo, la tragedia di regimi politici che, nati invocando una nuova pacifica “internazionale futura umanità”, hanno dato luogo a costruzioni statali autoritarie e violente, e nel periodo staliniano in Urss a una vera e propria forma di totalitarismo.

Parlo prima di tutto per me, naturalmente. E questo riguarda non solo il passato, ma un presente in cui una grande potenza, una potenza sempre più grande come la Cina ci offre il connubio abbastanza mostruoso tra la parola comunismo e un regime basato su un intreccio inedito tra capitalismo aggressivo e autoritarismo politico e statale.

Moltissimi anni fa, maneggiando tra gli altri quel testo di Mao intitolato “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, mi ero illuso per un breve periodo che dalla seconda maggiore rivoluzione socialista potesse nascere un modello diverso da quello sovietico.

In quel testo si diceva, in fondo, una cosa molto semplice: se la violenza è ammissibile nella battaglia contro il nemico, non lo è invece nel conflitto con chi, pur stando dalla tua parte, la pensa diversamente da te. Era una critica manifesta al “metodo” stalinista di eliminare fisicamente chiunque non seguisse la sua linea, in un assetto sociale in gran parte condizionato dalla paura e dalla delazione.

Da tempo credo che la violenza non possa mai essere davvero legittima.

E da tempo cerco di saperne di più di chi ha subito la violenza dei regimi comunisti.

Non mi piacciono le “giornate della memoria”, specialmente se in date sbagliate, tantomeno condivido la rimozione dei monumenti del passato. Di tutti i passati.

Ma coltivare la memoria onesta di una tradizione che ci appartiene mi sembra necessario se si vuole costruire una vera alternativa.

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