Le radici di Fratelli d’Italia affondano nella storia del Msi. Un concetto ribadito tanto da Meloni quanto dal presidente del senato La Russa. Quest’ultimo nel giugno scorso ha affermato che la fiamma nel simbolo di FdI «è rimasta come segno di continuità dal Msi».

Nel dicembre 2022 Meloni aveva invece dichiarato che il partito degli ex collaborazionisti di Salò avrebbe «avuto un ruolo molto importante nel combattere la violenza politica e il terrorismo».

È questo il punto centrale dello scontro con Paolo Bolognesi. Il presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna ha affermato che, come indicano le ultime sentenze, «le radici» dell’attentato «affondano nella storia del postfascismo italiano. In quelle organizzazioni nate dal Msi negli anni cinquanta: Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale». Radici che «oggi figurano a pieno titolo nella destra italiana di governo».

Da quel momento si è scatenata un’aggressione mediatica che, aperta dall’attacco di Meloni, si è ben guardata dall’entrare nel merito, utilizzando il collaudato metodo della delegittimazione. Così i megafoni-stampa governativi lo hanno accusato di strumentalizzazione e attacchi ingiustificati nonché di essere stato parlamentare del Pd (come se questo cancellasse la storia della sua famiglia colpita o ne dovesse censurare la parola).

L’uscita di Federico Mollicone contro la verità storica sulla strage ha chiuso il cerchio. Vediamo, con i riscontri documentali e giudiziari, quale questione ha posto Bolognesi.

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Paolo Bellini, principale imputato nell’ultimo processo di Bologna, ha affermato in aula che dal 1972 era «infiltrato – in Avanguardia Nazionale – per conto di Almirante. Lo scopo era informarsi per vedere e capire se c’erano persone facinorose e collegamenti con l’estremismo. Se si fosse arrivati al terrorismo io sarei dovuto arrivare fino a là». Il problema è che ieri Bellini «l’infiltrato» era in contatto diretto con i vertici del Msi e oggi Bellini l’imputato è condannato in appello come esecutore della strage. Insieme a lui le carte d’archivio discusse a processo hanno individuato Mario Tedeschi, senatore del Msi, come uno dei depistatori/mandanti dell’eccidio alla stazione.

Non sono solo questi i personaggi che rappresentano le radici di cui parla Bolognesi.  Carlo Maria Maggi, esponente di Ordine Nuovo, rientrò nel 1969 nel Msi seguendo il suo capo Pino Rauti. Fu membro del Comitato centrale del partito e candidato al parlamento nelle elezioni del 1972. È stato condannato per la strage di Brescia del 28 maggio 1974.

Anche Paolo Signorelli seguì Rauti e tornò nel Msi nel Comitato centrale. Vi rimase fino al 1976. È stato condannato per banda armata e assolto per la strage di Bologna e per gli omicidi dei giudici Mario Amato e Vittorio Occorsio. Suo nipote, omonimo del nonno, era fino a poche settimane fa il capo ufficio-stampa del ministro Francesco Lollobrigida (cognato della premier e marito della capo-organizzazione di Fratelli d’Italia, Arianna Meloni). Signorelli junior si è dimesso dopo il caso delle telefonate con Fabrizio Piscitelli (ultras e narcotrafficante ucciso il 7 agosto 2019) insieme al quale si produceva in insulti antisemiti.

Carlo Cicuttini era il segretario della sezione del Msi di Manzano al momento della partecipazione alla strage di Peteano che uccise tre carabinieri. Cicuttini li aveva attirati sul luogo dell’attentato con una telefonata alla locale caserma. Il Msi, lo mostrano le carte dell’inchiesta del giudice Casson, raccolse 32.000 dollari per farlo operare alla corde vocali nel timore che venisse identificato dalla voce registrata dai militari. Almirante, rinviato a giudizio per favoreggiamento, evitò il processo avvalendosi di un’amnistia prima dell’inizio del dibattimento.

Dal Msi si staccarono figure chiave della stagione eversiva come Stefano Delle Chiaie (fondatore di AN) o Franco Freda e Delfo Zorzi entrambi processati per la strage di piazza Fontana. Il primo riconosciuto capo del gruppo ordinovista veneto responsabile del massacro del 12 dicembre 1969, il secondo assolto.

Giuseppe Dimitri (scomparso in un tragico incidente) fu dirigente di AN e Terza Posizione (TP). responsabile di un deposito di armi a Roma condiviso con i NAR di Fioravanti e Mambro fu condannato per banda armata. Divenne consulente del ministro per l’agricoltura Gianni Alemanno.

L’ex dirigente di TP, Marcello De Angelis (condannato per banda armata, poi parlamentare di Alleanza nazionale) l’anno scorso fu protagonista di un’uscita pubblica sulla strage di Bologna che gli costò il posto di portavoce della Regione Lazio guidata da Rocca.
Il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano ha chiamato come suo capo della segreteria tecnica Emanuele Merlino, figlio di quel Mario Merlino protagonista delle inchieste per la strage di piazza Fontana, poi assolto definitivamente.

La foto della presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo con il terrorista di Bologna Luigi Ciavardini è ormai nota. Sicuramente più della partecipazione, nel gennaio 2007, dell’allora senatore La Russa ai funerali del terrorista Nico Azzi che il 7 aprile 1973 tentò una strage sul treno Torino-Roma e fornì le bombe a mano che cinque giorni dopo uccisero il poliziotto Antonio Marino durante un corteo del Msi a Milano. Sono queste le «radici che non gelano» che Bolognesi ha indicato. E con queste si devono fare i conti.