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La maratona palestinese riaccende la protesta di Sheikh Jarrah e Silwan

La maratona palestinese riaccende la protesta di Sheikh Jarrah e SilwanGerusalemme Est. La partenza della maratona Sheikh Jarrah - Silwan. – Michele Giorgio

Gerusalemme Decine di giovani ieri hanno partecipato a una simbolica corsa da Sheikh Jarrah verso Silwan. In entrambi i quartieri della zona araba della città decine di famiglie rischiano di essere cacciate dalle loro case per far posto a coloni israeliani.

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 5 giugno 2021
Michele GiorgioGERUSALEMME

7850.Questo numero era stampato su tutte le magliette indossate ieri dai partecipanti alla maratona Sheikh Jarrah – Silwan, un evento politico e non sportivo con cui i palestinesi di Gerusalemme hanno ribadito l’unità della lotta che portano avanti decine di famiglie dei due quartieri contro i previsti sgomberi dalle loro abitazioni che saranno poi assegnate a coloni israeliani. 7850 è il numero delle persone che, secondo i calcoli fatti dai palestinesi, rischiano di non avere più una casa se i giudici israeliani non accoglieranno il loro ricorso. Alle 16 in punto da Sheikh Jarrah decine di giovani si sono avviati, alcuni di corsa altri camminando, verso Salah Edin, nel centro di Gerusalemme Est. Quindi hanno girato intorno alle mura della città vecchia e scendendo nel wadi sotto i Getsemani hanno raggiunto alla spicciolata Silwan.

foto di Michele Giorgio

All’inizio la polizia israeliana si è tenuta a distanza dalla maratona, lasciandola scorrere fino alla sua destinazione.  A Batn al Hawa, il rione di Silwan dove vivono buona parte delle famiglie minacciate dagli sgomberi, invece ha caricato il corteo e gli abitanti. E ha preso di mira l’ampia tenda dove da settimane si riuniscono gli attivisti di Batn al Hawa. I poliziotti hanno tirato granate stordenti verso i presenti, i palestinesi presenti sotto la tenda hanno risposto con lanci di sedie. I tafferugli, quindi, sono sfociati in scontri veri e propri con la polizia che ha sparato candelotti lacrimogeni e, secondo alcuni testimoni sul posto, anche proiettili di gomma. Dai palestinesi sono partiti lanci di pietre. Le granate stordenti hanno dato fuoco a sterpaglie e Batn al Hawa per diversi minuti è rimasto avvolto nel fumo denso e intossicante di lacrimogeni e cespugli secchi in fiamme. La tensione è scesa solo alle prime luci della sera.

L’accaduto conferma che l’espulsione minacciata di tante famiglie palestinesi dalle loro case era e resta in cima alle ragioni delle proteste palestinesi a Gerusalemme Est di queste ultime settimane. Passata l’escalation militare tra Israele e Hamas – 256 morti a Gaza, tra cui 67 bambini, e 12 nello Stato ebraico – che in parte aveva messo in ombra la mobilitazione popolare per Sheikh Jarrah e Silwan, le manifestazioni palestinesi tornano ad intensificarsi. Si avvicina peraltro il giorno, l’8 giugno secondo alcune fonti, in cui la Corte suprema israeliana dovrà pronunciarci sulla questione di Sheikh Jarrah. Un giudizio sfavorevole, se lo aspettano un po’ tutti nel quartiere, non potrà che innescare un nuovo ciclo di proteste. Girano inoltre voci sull’intenzione di gruppi della destra estrema israeliana di tenere nella città vecchia di Gerusalemme una seconda «Marcia delle bandiere» per il 10 giugno, nell’anniversario dell’annessione unilaterale della parte araba della città a Israele proclamata subito dopo l’occupazione militare avvenuta ai primi giugni del 1967 al termine della Guerra dei sei giorni. Ma sarà anche un mese dalla prima «Marcia delle bandiere» a Gerusalemme interrotta dall’inizio dello scontro militare tra Israele e Hamas.

Alle tensioni nelle strade si aggiunge la ripresa dello scontro diplomatico sullo status della parte araba di Gerusalemme. Mentre l’Amministrazione Biden, in una parziale retromarcia rispetto alla politica di Donald Trump, comunica di voler riaprire il consolato Usa nella zona palestinese – ma non riporterà a Tel Aviv l’ambasciata –   l’Honduras annuncia che entro fine mese inaugurerà la propria ambasciata a Gerusalemme, che ad agosto del 2019 ha riconosciuto come capitale di Israele. Un passo significativo perché l’Honduras è il paese dell’America centrale che ospita la seconda comunità palestinese più numerosa dopo il Cile. I suoi leader hanno stretto legami molti forti con lo Stato ebraico in questi ultimi anni.

Si attende peraltro l’esito in Israele dello scontro politico tra la «coalizione del cambiamento» guidata dal premier incaricato Yair Lapid, che a metà settimana ha annunciato di poter formare un suo governo, e il primo ministro uscente e leader del Likud Benyamin Netanyahu. Quest’ultimo non si arrende e punta a provocare defezioni nel campo avversario per negare la fiducia al nuovo esecutivo. Alcuni deputati del partito nazionalista religioso Yamina si dicono «indecisi», non convinti di voler appoggiare una coalizione con al suo interno il centrosinistra e il partito arabo islamista Raam, sebbene a guidarla per i prossimi due anni sarà il loro leader Naftali Bennett. Oltre a Nir Orbach anche un altro deputato della nuova maggioranza, Amichai Chikli, ha detto di non voler votare per il governo. Stasera gli otto leader dei partiti che formano la «coalizione del cambiamento» faranno il punto con Bennett e Lapid e decideranno contromisure ai piani di Netanyahu.

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