La caccia all’ultima goccia di petrolio si avvicina con la discussione del Piano Mattei al Consiglio dei ministri. Non ci sono dettagli, ma il ricordo della presenza delle multinazionali in territorio africano per progetti di estrattivismo preoccupa già le popolazioni locali.

«La maledizione delle risorse», come la chiamano in Mozambico, nona riserva mondiale di gas. è stata al centro della conferenza stampa «Piano Mattei ed estrattivismo in Mozambico», tenutasi ieri a Roma nella Sala della Stampa estera per iniziativa di Focsiv e Movimento Laudato Si.

Gli occhi occidentali sono attratti dal Paese già dal 2010, dopo l’individuazione dei primi giacimenti. Oggi ospita tre infrastrutture: Coral South, Rovuma LNG e Mozambique LNG. Le prime due hanno a capo Eni, l’ultima la francese Total.

«Il Mozambico ha enormi possibilità di crescita – commenta Meloni durante una visita ad ottobre -, l’Eni sta realizzando progetti all’avanguardia e la popolazione lo vede». Non è della stessa idea Daniel Ribeiro, dei gruppi Justiça Ambiental JA! e Friends of the Earth Mozambique: «Sono strutture di oppressione che prevengono un reale sviluppo dell’Africa». Si riferisce all’instabilità che attanaglia il Paese tra una crisi economica, migratoria e criminale da quando gli investimenti dei colossi energetici si sono concentrati nella regione di Cabo Delgado (Nord).

Questo clima ha scatenato un’insurrezione nel gruppo violento di matrice jihadista al Shabab. La risposta di Maputo è stata militarizzare. Alcuni blitz hanno portato anche all’interruzione delle attività petrolifere, ma anche alla morte di decine di persone. Secondo l’Unhcr il conflitto ha causato più di 4 mila morti e più di un milione di deslocados (sfollati interni), numero cresciuto anche a causa delle stesse operazioni industriali nei villaggi. «Non c’è posto per tutti i profughi e questo lascia le persone per strada – spiega Antonio Muagerene, della Caritas Mozambico – anche gli aiuti internazionali non sono sufficienti: il World Food Forum ha sospeso le forniture. Le persone sono senza cibo, medicine, istruzione». Gli attriti nel paese hanno aumentato anche la corruzione e a sua volta la crisi economica. «Avevamo un debito basso, in 10 anni è schizzato al 126%» continua.

Nonostante gli impatti devastanti, l’industria del gas non si ferma. «L’Europa ha un problema di approvvigionamento energetico e l’Africa è un grande produttore» commenta Meloni. La sicurezza energetica è la molla che spinge questo progetto da 2 milioni e 600 mila euro d’investimento iniziale. Tuttavia, l’utilizzo di gas in Italia è in declino e «il Mozambico non ha dipendenza da combustibili fossili, viene prodotto quasi il doppio della domanda – precisa Ribeiro – ci sono le dighe e il 30/40% non ha accesso all’energia elettrica».

Se né l’Italia né il Mozambico necessitano di questo gas, perché investirci su? L’Eni si occupa solo di estrarre e liquefare il gas, che viene poi venduto da British Petroleum (Bp), l’azienda con sede a Londra. Solo il 20% del gas, infatti, dal novembre 2022 alla fine di marzo, è arrivato in Italia, secondo i dati di Bloomberg. Il resto è finito in accordi commerciali con Spagna, Croazia, Turchia e Corea del Sud. Inoltre, di quel guadagno Maputo non ha visto nulla. «Il Mozambico riceverà 18,4 milioni di dollari e solo nel 2040. Considerando l’inflazione, sono 4 miliardi», spiega Ribeiro, ricordando che «solo le alluvioni sono costate al Paese 3 miliardi di dollari».

La vulnerabilità alla crisi climatica è infatti un tasto dolente del paese (dei 15 bacini fluviali dell’Africa centrale, 7 passano per il Mozambico) e il Piano Mattei e la sua matrice estrattivista preoccupano anche per questo.