«Tutti gli edifici erano distrutti. A 15 minuti di distanza dal nostro ostello, le strade non c’erano più. Erano letteralmente sparite, completamente coperte dai resti dei palazzi bombardati. Poi camminando abbiamo visto la guerra. C’era il corpo di una persona morta, a lato della strada. I carri armati e i soldati erano ovunque». Le parole di Abhishek Yadav si mischiano con il vociare di altri trecento studenti indiani ospitati nella palestra di Milisauti, paese rumeno a 20 km dal confine con l’Ucraina.

ABHISHEK è un ragazzo di 20 anni, e così come la maggior parte dei suoi compagni di viaggio, aveva appena iniziato a studiare medicina presso la Kharkiv Medical University. Si era trasferito in Ucraina a novembre, ma dal 24 febbraio i suoi piani sono stati stravolti. Abhishek fa parte di una consolidata comunità di giovani indiani che scelgono l’Ucraina per studiare medicina o ingegneria.

Erano 18.000 gli studenti indiani iscritti all’università ucraina nel 2021, secondo il Ministro degli Affari Esteri Indiano. L’Ucraina ospita un numero maggiore di studenti indiani rispetto alla Francia e alla Russia. Secondo il Ministero dell’Istruzione ucraino, il 24% del totale degli studenti internazionali è di nazionalità indiana. Ai giovani indiani studiare in Ucraina conviene. La competizione per venire ammessi ai corsi di medicina pubblici in India è molto alta, mentre quelli privati hanno costi proibitivi: variano dai 70.000 ai 100.000 euro. In Ucraina costa dai 17.000 ai 20.000 euro. Gli standard di istruzione erano alti nel Paese: si trovava al quarto posto per numero di corsi universitari di medicina in Europa e offriva molti di questi in lingua inglese. Tutto questo prima dello scoppio della guerra.

IL 24 FEBBRAIO alle 5 di mattina Anshul Sharma si sveglia nella stanza d’ostello che condivide con l’amico Adit Thalke: «Ho sentito un rumore e mi sono svegliato. Era una bomba. All’inizio pensavo che fosse un sogno, invece stava accadendo davvero». Sono in settecento a rifugiarsi nei bunker sottostanti l’ostello, ma i bunker sono ideati per ospitare un massimo di duecento persone. Per otto giorni gli studenti indiani rimangono nei bunker, in attesa di un cessate il fuoco.

Renu Magar è una studentessa di 19 anni, muove le dita affusolate mentre racconta il periodo passato sotto terra: «ogni giorno pensavamo “domani ce ne andremo”. Ma poi i bombardamenti ricominciavano». Naveen Shekarappa è uscito dal bunker per recuperare del cibo quando è stato colpito da una bomba. Era uno studente di medicina del quarto anno ed è morto a Kharkiv i primi giorni dell’invasione russa.

Kharkiv è la seconda città dell’Ucraina, situata a nord-est del Paese, ed è stata una delle prime ad essere colpita dai bombardamenti. Il tre marzo, alle 15.38 viene data l’allerta rossa a Kharkiv.

L’ambasciata indiana esorta gli studenti a lasciare al più presto quell’area del Paese. Intanto anche le stazioni ferroviarie vengono colpite dai missili russi. «L’ambasciata ha comunicato ai nostri responsabili di andare alla stazione Pasazhirskyi a Kharkiv, assicurandoci che avremmo trovato dei treni diretti al confine», continua Renu. Alla stazione la situazione è più caotica del previsto, centinaia di persone tentano di salire sui pochi treni disponibili e la priorità viene data alle donne ucraine con bambini, poi alle donne straniere e infine agli uomini. Mentre la gente si spinge per conquistare un posto sul treno, sotto gli occhi vigili dei soldati ucraini, un missile colpisce la stazione. L’ambasciata indiana individua una zona franca a pochi km da Kharkiv ed esorta gli studenti a raggiungerla: «dovete arrivare a Pisochin prima del coprifuoco, andateci a piedi se necessario».

COSÌ È INIZIATO il viaggio dei trecento studenti indiani. Dodici km di cammino, da Kharkiv a Pisochin e due attacchi missilistici scampati. Arrivati a Pisochin i ragazzi si sentono al sicuro, sebbene la temperatura raggiunga i 5 gradi sottozero. Dopo 40 ore di attesa, finalmente salgono sui bus diretti a Siret, confine rumeno a mille km di distanza. «L’ambasciata ha organizzato i veicoli per scortarci al confine», dice Renu davanti alla telecamera. Qualcuno si lascia sfuggire una storia più difficile: «la verità è che abbiamo dovuto pagare 500 dollari a testa per salire su quel bus che da Pisochin ci ha portato in Romania», aggiunge uno degli studenti.

A SIRET i trecento indiani sono accolti dalla protezione civile rumena e da diverse associazioni di volontariato tra cui Arca, una onlus italiana. Molto attiva nel portare aiuto ai rifugiati in tutta Europa, Arca ha avviato diversi progetti lungo il confine rumeno-ucraino dall’inizio della crisi umanitaria. A Milisauti, a metà strada tra il valico di Siret e la città di Suceava, la palazzina dello sport è stata adibita a campo profughi. Tutti i 7000 abitanti del paese sono coinvolti nel volontariato per offrire supporto ai rifugiati. Sono circa 4000 gli studenti indiani che sono stati evacuati attraverso il valico di Siret dall’inizio del conflitto ad oggi. Nonostante l’esperienza traumatica vissuta dai trecento giovani, nella palazzina dello sport si respira un’atmosfera allegra. La parte più dura del viaggio è passata. Ora, ad Anshul e Adit rimangono solo i ricordi di quella che poteva essere l’esperienza più formativa della loro vita.