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La linea di montaggio delle torture nell’Egitto dei «casi isolati»

La linea di montaggio delle torture nell’Egitto dei «casi isolati»Poliziotti egiziani

Il Cairo Il rapporto di Human Rights Watch: «Crimini contro l’umanità. Le autorità egiziane hanno ricostituito e ampliato gli strumenti repressivi dell’epoca Mubarak. Al-Sisi ha dato ai servizi luce verde». Fonti egiziane: a settembre al-Sisi incontrerà Gentiloni all’Onu

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 7 settembre 2017

Il primo ministro italiano Paolo Gentiloni incontrerà il presidente egiziano al-Sisi a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, che si aprirà al Palazzo di Vetro di New York il 12 settembre.

Lo rivela l’agenzia indipendente egiziana Mada Masr (la stessa che aveva preannunciato il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo entro settembre), citando fonti diplomatiche egiziane. Il meeting sarebbe già stato organizzato dai due governi.

Gentiloni vedrà AL-SISI negli stessi giorni in cui Cantini si insedierà nella palazzina di Garden City, nella capitale egiziana, e Hesham Badr nella sede diplomatica egiziana nel parco di Villa Ada a Roma. Tutto normale, come in questi giorni sottolineano svariati parlamentari egiziani.

Lo stesso portavoce del ministero degli esteri, Ahmed Abu Zeid, all’indomani dell’annuncio della Farnesina del 14 agosto, aveva sintetizzato così quanto appena accaduto: «Ora le relazioni sono tornate alla normalità».

Non che il richiamo dell’ambasciatore Massari le avesse stravolte. Ma ora i rapporti sono stati ufficialmente ricuciti nonostante un bilancio fallimentare sul piano della cooperazione da parte della procura generale del Cairo.

Illuminanti le dichiarazioni raccolte da Mada Masr: «Abbiamo ricevuto l’esplicita promessa politica che i diversi sospetti implicati nel caso saranno perseguiti con integrità entro un periodo di tempo che non sarà particolarmente breve», dice un funzionario italiano anonimo all’agenzia (tra i 405 siti offline da maggio in Egitto per ordine del governo, tra l’altro).

Promesse politiche, tempi lunghi: dice più un anonimo funzionario che l’audizione di due giorni fa del ministro degli esteri Alfano. A cui andrebbe consegnato l’ultimo rapporto di Human Rights Watch per ricordargli quanto ripetuto da anni: l’Egitto non è un paese sicuro. In primis per gli egiziani, dimenticati tra miseria dilagante e repressione strutturale, assenza di diritti politici e di informazione libera.

Il rapporto di 63 pagine uscito ieri, «Torture e sicurezza nazionale nell’Egitto di al-Sisi», raccoglie le testimonianze di 19 ex detenuti nelle carceri egiziane tra il 2014 e il 2016 e dei familiari di un ventesimo, oltre ai rapporti di ong locali, tra cui Ecrf (consulente della famiglia Regeni) che identifica almeno 30 morti di tortura in caserme e centri di detenzione tra agosto 2013 e dicembre 2015 e altre 14 vittime nel 2016.

«La polizia e i funzionari della Sicurezza Nazionale usano regolarmente la tortura – si legge nel rapporto – durante i loro interrogatori per costringere presunti dissidenti a confessare o divulgare informazioni. Le autorità egiziane hanno ricostituito e ampliato gli strumenti repressivi che caratterizzarono l’epoca Mubarak». Fino a creare «una catena di montaggio» che coinvolge i vari dipartimenti della sicurezza.

Seguono i racconti degli ex prigionieri. Come quello di Khaled, 29 anni: «Mi hanno dato scariche elettriche sulla testa, i testicoli e le ascelle. Mi tiravano acqua bollente. Ogni volta che perdevo conoscenza, me la lanciavano addosso».
Per sei giorni, fino a quando ha accettato di leggere, ripreso da una videocamera, una confessione preparata nella quale affermava di aver dato fuoco ad auto della polizia su ordine della Fratellanza Musulmana.

La conclusione è secca: arresti arbitrari, sparizioni forzate e torture sistematiche sono una violazione grave del diritto umanitario internazionale e «costituiscono un crimine contro l’umanità».

L’associazione si rivolge allo stesso al-Sisi chiedendo la nomina di un procuratore speciale presso il ministero della giustizia che si occupi di indagare le denunce e perseguire i responsabili.

Ma, consapevole che una tale macchina repressiva non è frutto di «mele marce», Hrw fa appello alle Nazioni Unite e agli Stati membri perché «indaghino e, nel caso, perseguano nelle proprie corti i funzionari dei servizi egiziani che commettono torture».

«Il presidente al-Sisi ha dato luce verde a polizia e servizi ad usare la tortura ogni volta che vogliono», è il commento del direttore di Hrw Medio Oriente, Joe Stork. Quel presidente che lo statunitense Trump ha definito «un uomo fantastico» e l’ex premier italiano Renzi «un grande leader, l’unica speranza per l’Egitto».

Lo disse nel luglio 2015, a due anni esatti dal golpe e dopo 24 mesi di denunce di ong egiziane e resoconti su quanto accadeva nel paese, raccontati con costanza anche dal nostro giornale. Nessun caso isolato, né per Giulio né per Khaled.

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