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La libertà di Carola Rackete

La libertà di Carola RacketeCarola Rackete

Immigrazione A giugno scorso esplode lo scontro tra il «capitano» della Lega e la «capitana» della ong Sea watch. La ragazza tedesca che ha messo la sua vita a disposizione degli altri è diventata un bersaglio di odio per Salvini e i suoi seguaci on line. Dal clamore della Rete, la battaglia è diventata politica, culturale e poi giudiziaria. E l’ex ministro finora ha sempre perso

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 31 dicembre 2019

È il 12 giugno 2019 quando Carola Rackete, che ha compiuto 31 anni da poco più di un mese, soccorre in mare con la nave che comanda, la Sea-Watch 3 della omonima ong tedesca battente bandiera olandese, 52 migranti partiti dalla Libia e si dirige verso l’Italia, ovvero la nazione con il porto sicuro più vicino.

Il nome Carola Rackete dice poco ai più, ma il suo curriculum di capitana e attivista per l’ambiente e i diritti umani è già lungo.

Tedesca, una laurea in scienze nautiche, un master in Conservazione dell’ambiente, 5 lingue parlate (tedesco, inglese, spagnolo, francese, russo), ha guidato una nave rompighiaccio al Polo Nord, ha trascorso otto mesi nel parco naturale della Kamchatka (Russia Orientale) come guida turistica e manutentrice delle attrezzature, è stata secondo ufficiale sulla Arctic Sunrise di Greenpeace, ha condotto ricerche per la British Antartic Survey.

Di se stessa Rackete dice: «La mia vita è stata facile. Ho frequentato tre università, sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Sento l’obbligo morale di aiutare chi non ha avuto le mie stesse possibilità».

Rackete chiede l’autorizzazione a entrare in un porto italiano, ma da noi è appena entrato in vigore il decreto sicurezza bis e il ministero dell’interno, guidato in quel momento da Matteo Salvini, le nega l’ingresso. Da mesi le destre soffiano sul fuoco del razzismo additando gli immigrati come l’origine di tutti i mali, piegano il senso umanitario e il diritto internazionale sotto slogan come «Prima gli italiani» e, in un surreale ribaltamento della realtà, additano le ong come complici dei trafficanti di esseri umani.

La Sea-Watch 3 resta 17 giorni in mare finché, per la salvaguardia della salute dei migranti, Rackete decide di forzare il blocco e la notte del 29 giugno entra nel porto di Lampedusa.

Apriti cielo.

Sul molo ci sono persone che applaudono ma anche, infiammati dalla propaganda di odio, chi le grida, mentre scende scortata dalle forze dell’ordine: «Spero ti violentino ’sti negri. A quattro a quattro te l’hanno da infilare. Te piace o cazzu nigru eh. Zingara. Venduta. Tossica. Criminale. Arrestatela». Dal canto suo, il ministro Matteo Salvini la definisce: «Sbruffoncella, fuorilegge, delinquente».

Dopo alcuni giorni agli arresti domiciliari, il fermo di Rackete non viene convalidato perché, secondo la gip di Agrigento Alessandra Vella, «Stava compiendo il suo dovere salvando vite in mare».

E’ proprio in questi giorni che arriva in Sicilia, mandato di corsa da Der Spiegel, il fotoreporter italo argentino Karl Mancini che da anni documenta la violenza di genere e le lotte di Non una di meno.

Il clamore attorno a Rackete è stato tale che la ong la protegge. «Trovarla e ottenere un appuntamento – dice Mancini – è stato come fare una caccia al tesoro».

L’incontro avviene a casa di un amico di Rackete. «Ci è venuta ad aprire lei stessa – racconta Mancini – Era scalza, con un abito viola a fiori e quella collana semplice, come semplice e aperto era il suo sorriso e il suo parlare. E’ una giovane donna molto alla mano, alta, minuta, che mette le persone a proprio agio e trasmette una grande calma interiore. Il ritratto che poi è diventato la copertina di Der Spiegel (e del suo libro Il mondo che vogliamo, Garzanti, ndr) viene fatto in un corridoio con una sola luce al led. Non si è mai messa in posa, non ha mai chiesto di vedere come erano venute le foto, non si è mai preoccupata del suo aspetto, si è fidata e mostrata così come è, naturale, senza trucco, senza reggiseno, senza nessun tipo di depilazione».

Se durante quell’incontro Carola Rackete ha detto di trovare ridicoli gli attacchi contro di lei, in seguito ha deciso di denunciare Matteo Salvini per diffamazione e istigazione all’odio. Lui non l’ha presa bene e l’ha definita: «Signorina tedesca viziatella e di sinistra che ha come passatempo notturno anche lo speronamento di militari che per me è reato».

Considerando la calma forza di lei e le scomposte invettive di chi in questi mesi le ha detto di tutto, viene da chiedersi che cosa fa così imbestialire i suoi detrattori.

D’accordo, c’è il machismo, il sessismo, la mancanza di argomenti, la propaganda, la semplificazione di problemi complessi, la tecnica degli slogan ad effetto, però c’è anche dell’altro, qualcosa che ha a che fare con profonde insicurezze interiori.

In fondo, chi attacca Carola Rackete detesta non solo le sue scelte, ma il suo non essere omologata, non influenzabile. Soprattutto, i suoi odiatori detestano il suo essere libera.

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