Di certo non si risparmia, Augusto Barbera. Nel giorno della riunione straordinaria della Corte costituzionale, il presidente tiene banco per una mattinata intera, prima con un’ora di relazione sull’anno passato, e poi con con un’altra ora di risposte ai cronisti. A quasi 86 anni, forte di cinque legislature parlamentari con Pci e Pds e 9 anni da giudice costituzionale, l’incedere retorico di Barbera è piacevolmente old school, a tratti implacabile e a tratti imprendibile.

LA PARTE implacabile riguarda le stoccate date a parlamento e giudici. Quella imprendibile è nelle risposte ai giornalisti, che provano in tutti i modi a far sbilanciare il presidente su questioni politiche, ricevendo però in cambio solo risposte elusive. Così, davanti a Mattarella, Barbera non si è fatto alcun problema ad affondare il colpo sul parlamento, che sì sarebbe «attore costituzionale» ma che spesso se lo scorda. Come nei casi citati del fine vita e della «condizione anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso». Ecco, dice il presidente della Consulta, «in entrambi i casi il silenzio del legislatore sta portando, nel primo, a numerose supplenze delle assemblee regionali; nel secondo, al disordinato e contraddittorio intervento dei sindaci preposti ai registri dell’anagrafe». Da qui la domanda «se non sia da mettere in evidenza l’importanza del dovere di cooperazione tra Corte costituzionale e legislatore, ciascuno nel rispetto e nei limiti, anche procedurali, delle proprie competenze», con la Corte che la sua parte la sta già facendo, visto che è passata «dai moniti alle sentenze additive di principio; dalle pronunce di inammissibilità per discrezionalità legislativa si è passati all’incostituzionalità prospettata, ma non dichiarata, o, in modo ancora più penetrante, alle decisioni a incostituzionalità differita».

IL POTERE legislativo non è l’unico bersaglio di Barbera. Colpi secchi, infatti, arrivano anche su quello giudiziario, con la citazione dei «disinvolti tentativi di taluni giudici comuni di disapplicare le norme nazionali da essi reputate in contrasto con la Convenzione europea». Eventualità definite «marginali», anche se il riferimento al caso della giudice di Catania Iolanda Apostolico che decide di disapplicare il decreto Cutro – con conseguente codazzo di polemiche, veri dossieraggi e ricorsi ancora pendenti – appare in controluce. Sostiene Barbera: «Si può comprendere, ma non giustificare, che il giudice avverta l’esigenza di approntare una risposta, la più rapida ed efficace possibile, a fronte di assetti normativi reputati in contrasto con la Costituzione, e, più specificamente, di offrire una tutela ai diritti inviolabili che essa riconosce». Un errore perché «è un orientamento dei giudici di merito praticamente immotivato, alla luce del fatto che la Corte è in grado, ormai, di definire un incidente di legittimità costituzionale nel giro di pochi mesi e che, nel frattempo, sono comunque esercitabili da parte del giudice comune i necessari poteri cautelari, affinché non vi sia un vuoto di tutela costituzionale».

L’ORA FINALE in compagnia dei giornalisti vede un Barbera meno formale, capace di notevoli acrobazie per evitare di esprimere opinioni sull’esecutivo, e con tratti addirittura bruschi, come quando scansa senza pensarci troppo le domande su carcere e ingiusta detenzione. Più esteso il capitolo sul caso dell’ex vicepresidente Nicolò Zanon, che negli ultimi mesi si è messo a raccontare vari dettagli delle decisioni della Consulta, violando la sacra regola del silenzio sulle camere di consiglio, le cui discussioni interne dovrebbero rimanere sempre e per sempre riservate: «Va comunque rispettato, e lo sottolineo con forza, il segreto della camera di consiglio, volto non a garantire sorpassati arcana imperii, ma istituto necessario per assicurare la libertà e l’indipendenza della Corte costituzionale». Quando gli viene fatto notare che anche Amato, nel suo ultimo libro scritto insieme a Donatella Stasio, ha svelato il retroscena di una sentenza, Barbera, un po’ a sorpresa, resta quasi spiazzato e ammette di non aver ancora letto tutto il poderoso volume del suo predecessore. Resta il punto di principio sulle cosiddette dissenting opinion, le «relazioni di minoranza» previste da altre corti costituzionali europee. Barbera ora dice che «fin dai primi anni di vita della Corte non si è avvertita l’esigenza» di introdurre qualcosa del genere. Ma in un suo articolo uscito sulla rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti il parere sembrava diverso: si chiedeva infatti «almeno l’espressione delle opinioni dissenzienti». Correva l’anno 2015. Barbera non era ancora giudice costituzionale. Lo diventerà poco dopo.