Dino Frisullo ha dato un nome alle cose. E da quei nomi ha fatto partire esperienze che sono sopravvissute alla sua vita, incredibile vita, diventando riferimenti delle lotte di migranti e richiedenti asilo in Italia, da Roma alla Calabria.

Ha dato un nome al piazzale che a Testaccio conduce nel cuore del «consolato» del Kurdistan in Italia, il Centro Ararat, da ventuno anni spazio dell’attivismo di un intero popolo in Italia. Si chiama Largo Dino Frisullo: dopo la cattura e l’arresto del fondatore del Pkk Abdullah Öcalan, fu Dino insieme all’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia a proporre di trasformare quello stabile occupato all’ex Mattatoio in luogo di accoglienza dei curdi in fuga dalle persecuzioni e di ideazione e realizzazione delle migliaia di iniziative politiche che da lì sono maturate.

E HA DATO UN NOME alle barche di migranti e richiedenti asilo che negli anni Novanta raggiungevano le coste del sud. A bordo, di nuovo, tantissimi curdi. Furono loro, viaggiatori in cerca di libertà, a ribattezzare con la vernice una delle navi «Frizullo».

Dissero poi che quello era il nome di un italiano che conoscevano, un italiano che nel 1997 partì con il Treno per la Pace «Musa Anter» insieme ad attivisti e giornalisti di tutta Europa per denunciare gli abusi dello stato turco contro il Bakur, il Kurdistan in Turchia, devastato da una campagna militare che ha raso al suolo villaggi, costretto migliaia di persone all’esilio, incarcerato e torturato. Ed era il nome dell’italiano che l’anno dopo, al Newroz di Diyarbakir represso nel sangue, fu arrestato, detenuto per quaranta giorni e processato dalle autorità turche.

Dino ha dato un nome alle cose e su quei nomi ha costruito realtà che forse nemmeno immaginava. I fili della sua vita straordinaria li tesse l’associazione Senzaconfine – di cui Frisullo fu tra i fondatori – insieme alla casa editrice RedPress nel libro In cammino con gli ultimi. Dino Frisullo, storia di un militante avido di conoscenza e d’amore, vissuto e morto povero e curioso (28 euro, 350 pp). Arriva a vent’anni dalla sua morte, il 5 giugno 2003 a Perugia, una delle sue tante case nei suoi cinque decenni di vita.

Morì, Dino, con tante cose ancora da dire e da fare, e morì incazzato: meno di tre mesi prima Stati Uniti e Gran Bretagna avevano invaso e occupato l’Iraq, aprendo a vent’anni di devastazione di un paese, di svariati popoli e del diritto internazionale.

NE SCRISSE MOLTO nelle sue ultime settimane di vita, anche sulle pagine de il manifesto in cui da anni era stretto collaboratore. Nel marzo 2003, lucidissimo, poneva questioni che la sinistra globale non ha mai preso davvero in considerazione, prospettive in grado di superare le forme passive del pacifismo liberale: «È impensabile che nella resistenza popolare all’invasione non si rinsaldi l’egemonia della casta al potere, ma al contrario prenda forma un blocco democratico alternativo al regime, capace di contendergli la gestione della guerra e l’egemonia nel dopoguerra? Altre volte è avvenuto, in situazioni estreme di guerra di popolo. Lavorare seriamente su questa ipotesi, in parallelo con l’impegno umanitario e l’aiuto solidale ai profughi e agli sfollati, significa per tutti noi – Ong sul campo, movimenti e campagne di solidarietà e di controinformazione – valorizzare sistematicamente le aggregazioni popolari e democratiche rispetto al regime».

Nel libro c’è anche questo, parte integrante di un percorso politico che ha un minimo comune denominatore: l’internazionalismo. In ognuno dei passaggi compiuti da Frisullo, le terre attraversate e le battaglie ideate o condivise, l’impellenza di un approccio superiore al piano nazionale della lotta emerge con prepotenza. La battaglia è di tutte e tutti o non lo è.

La politica da lui intesa come pratica totalizzante – lo scrivono in tanti: viaggiava di continuo, spuntava a ore impensabili e in luoghi inattesi, dormiva pochissimo, il tempo del riposo era per lui tempo sottratto alla lettura – era fondata sulla globalità delle rivendicazioni, senza confine, appunto.

Frisullo con un gruppo di migranti pachistani di fronte al Campidoglio (Stefano Montesi /Archivio Il Manifesto)

Curdi in Kurdistan, palestinesi in Palestina, migranti di ogni continente incontrati per le strade calabre o di Roma, non erano per Frisullo oggetti di una lotta altrui, ma soggetti attivi e imprescindibili, protagonisti a cui riconoscere voce e spazio politico, compagni di viaggio e non comprimari da educare o a cui imporre soluzioni non condivise.

LO DICE RODI, esule curdo, nel suo ricordo: «Era portavoce di tutti gli esseri umani». E lo dice Tommaso Di Francesco nel suo poema per l’amico: «Tu portavi l’attracco al cuore dello stato che pensavi meticciato». Dalle decine di interventi che costellano il libro emerge una panoramica ricchissima, un mosaico della vita di Frisullo che danno conto di un attivismo poliedrico dispiegato contemporaneamente su più fronti.

Dai primi passi in Puglia – Bari, la sua città di nascita – fino al Medio Oriente. Come dirigente di Avanguardia Operaia e poi di Democrazia Proletaria o impegnato nelle lotte ambientaliste, antimilitariste e sindacali. Sempre attento alle vicende internazionali, dalla Palestina al Kurdistan, e a quelle dei diritti delle persone migranti.

Un aspetto del volume, quest’ultimo, particolarmente affascinante. Attraverso la biografia dell’attivista pugliese, infatti, è possibile riannodare i fili che portano all’origine dei movimenti anti-razzisti in Italia, che Frisullo con altre e altri pionieri ha contribuito a mettere in moto.

A partire dall’omicidio di Jerry Maslo, a Villa Literno nel 1989, e al seguente coordinamento nazionale anti-razzista, passando dall’occupazione romana della Pantanella e dalla denuncia, proprio sulle pagine di questo giornale, del naufragio fantasma di Porto Palo di Capopassero, nella notte di Natale del 1996. Fino all’opposizione senza compromessi ai centri di detenzione amministrativa per migranti che venivano istituiti proprio in quegli anni, grazie alla legge Turco-Napolitano del 1998.

Il marchio del centro-sinistra su un’infamia che ancora oggi continua a produrre sofferenze, speculazioni e violazioni dei diritti. Parlando del Cpt Regina Pacis, «la Guantanamo del Salento», Frisullo definiva tali centri «gangli della logistica scientifica del concentramento e della deportazione».

IL SUO LAVORO POLITICO combina presenza sui territori, organizzazioni di proteste, pressioni sugli attori istituzionali, attività da «vecchia talpa» per allargare le maglie delle prime sanatorie e un instancabile costruzione di relazioni con i nuovi arrivati. Fuori da ogni vittimismo o pietismo, Frisullo vede nei nuovi arrivati dei compagni di lotta e intuisce che l’anti-razzismo non può essere per i migranti, ma solo con loro.

E lo fa con una caparbietà «inflessibile e irritante» che non concede sconti a nessuno e permette di combinare il pragmatismo necessario alla pratica dell’obiettivo con la capacità di restare sempre e comunque dalla parte giusta della storia. Senza doppi fini o interessi personali. Ed è la lezione forse più grande che Frisullo lascia in eredità: a chi ci ha fatto un pezzo di strada insieme, a chi lo ha conosciuto solo indirettamente e anche a chi, grazie a questo libro, potrà incontrarlo per la prima volta.

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Il libro «In cammino con gli ultimi» sarà presentato martedì 20 giugno alle 17 alla Protomoteca del Campidoglio, nella Giornata internazionale del Rifugiato. Per l’occasione sarà consegnato il premio Dino a Frisullo 2023, quest’anno assegnato ai due pescatori di Cutro, Vincenzo Luciano e Antonio Graziosi, che all’alba del 26 febbraio scorso sono subito intervenuti per tentare di salvare le vittime di quel terribile naufragio; e a Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, nuovo modello di accoglienza. L’iniziativa ha il patrocinio del Comune di Roma
e di CSV Lazio.