La legge elettorale proporzionale sfida la sinistra
Molti protagonisti della scena pubblica stentano ancora a comprendere quanto profondamente cambierà lo scenario competitivo con l’adozione di un sistema proporzionale (quali che siano le varianti che potranno essere introdotte). […]
Molti protagonisti della scena pubblica stentano ancora a comprendere quanto profondamente cambierà lo scenario competitivo con l’adozione di un sistema proporzionale (quali che siano le varianti che potranno essere introdotte). […]
Molti protagonisti della scena pubblica stentano ancora a comprendere quanto profondamente cambierà lo scenario competitivo con l’adozione di un sistema proporzionale (quali che siano le varianti che potranno essere introdotte).
Cambia innanzi tutto il modo stesso con cui ciascuna forza si rivolge agli elettori. Agli elettori si dovrà dire: «Dateci più forza per sostenere le nostre idee», ma anche – ecco il punto – «per poter meglio contrattare un programma di governo», qualora – come è fisiologico che accada in una democrazia parlamentare – fosse necessaria una trattativa per la formazione di una maggioranza.
Un approccio totalmente diverso da quello del passato, che può modificare i comportamenti degli elettori rispetto a quelli attesi.
Ma anche una logica che potrebbe avere alcuni benefici effetti sulla qualità stessa del dibattito politico, permettendo che si torni a discutere nel merito delle scelte programmatiche e sulla loro compatibilità (così come comincia ad accadere in Germania, dove le posizioni di Schulz stanno aprendo nuove possibilità di dialogo con Die Linke).
Tutto ciò emerge chiaramente se guardiamo a quanto accade nell’area del centrosinistra. Dalle giornate del Lingotto, nulla è emerso circa la strategia del Pd: diverse ipotesi sono state fatte balenare, dalla coalizione “anti-populistica” aperta alle forze moderate fino ad alcune più o meno vaghe ipotesi di rilancio del centrosinistra.
Fallita la via del partito auto-referenziale che, grazie all’Italicum, poteva sperare di concentrare tutto nelle proprie mani, rimane un vuoto strategico: il Pd è privo di una qualsivoglia strategia coalizionale.
Lo schema di gioco neocentrista immaginato mesi fa (il corpaccione del Pd con due appendici a destra e sinistra) è saltato, grazie alla meritoria separazione della sinistra del Pd e grazie anche alle precisazioni che Pisapia ha introdotto nelle sue posizioni.
Questo vuoto strategico del Pd viene alimentato dall’incertezza sulla possibile riforma elettorale: si proverà a estendere alla Camera la possibilità di coalizioni, attualmente prevista solo al Senato?
E’ possibile che prevalga questa idea, così come è probabile che il Pd si batta per conservare la soglia del 40% per l’assegnazione del premio di maggioranza. Ma questa regola assumerà più che altro il valore di un possibile incentivo al “voto utile”: nessuno pensa che sia un tetto realisticamente raggiungibile. E molte cose potranno ancora accadere, nel Pd o intorno al Pd.
Se anche si tornasse alle coalizioni, come pensa il Pd di potersi attrezzare: inventandosi forse una “copertura” di comodo a sinistra? E non potrebbe invece accadere che debba essere superata quella identificazione tra segretario e premier, che Renzi, come se nulla fosse, ha presuntuosamente rilanciato?
Questo diverso scenario pone molti problemi anche per tutta la galassia a sinistra del Pd.
Sarebbe letale, per queste forze, se si pensasse che il “proporzionale” garantisca a tutti la coltivazione tranquilla del proprio spazio e che si possa fare a meno di costruire una qualche offerta politica unitaria e credibile.
Intanto perché superare una soglia d’accesso al 3% (o più alta, come attualmente quella del Senato) non è facile. Ma soprattutto perché anche con un “proporzionale” scattano particolari meccanismi che agiscono sul voto degli elettori. Solo una piccola parte di questi si accontenta di un voto di pura testimonianza: si vota molto più volentieri per una forza che sia consistente e, soprattutto, che possa “contare” nella dinamica parlamentare.
Se l’elettore di sinistra si troverà di fronte ad una sconfortante scelta tra tre o quattro liste diverse, è molto probabile che non ne scelga nessuna…; e anche quella quota di elettori del M5S che si dichiarano di sinistra saranno ben poco incoraggiati a cambiare opzione.
E’ bene, dunque, mettersi subito al lavoro: le elezioni non sono poi lontane, e i cartelli elettorali improvvisati all’ultimo momento sono poco credibili.
Occorre impiegare i prossimi mesi per costruire una strategia unitaria, coinvolgendo tutte le forze che stentano a riconoscersi in questa o quella sigla, e valorizzando le energie emerse durante la campagna referendaria.
Lo spazio per una forza ampia e radicata, “a doppia cifra”, c’è tutto. Ma, per questo, occorre anche un discorso politico netto: occorre proporsi come una forza che ridia voce ai valori della sinistra, che non si inchiodi a qualche formula astratta di coalizione, ma che non abbia alcun timore di proporsi come forza di governo; e che si metta in gioco, con le proprie idee e la propria autonomia, forte del consenso che gli elettori potranno dargli.
Non è più tempo per le battaglie di bandiera, o per la difesa di alcune ridotte di frontiera
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