La Lega difende Orbán dalla Ue. E attacca Meloni
Gli ambasciatori dell’Unione accusano il premier ungherese. Il Carroccio: andrebbe lodato. I salviniani bersagliano le decisioni prese a Washington dalla premier
Gli ambasciatori dell’Unione accusano il premier ungherese. Il Carroccio: andrebbe lodato. I salviniani bersagliano le decisioni prese a Washington dalla premier
La Ue processa Viktor Orbán, che per la verità non sembra preoccuparsene affatto, e la Lega ne approfitta per riaprire il fuoco su Giorgia Meloni impegnata a riaccreditarsi come atlantista inossidabile. Terminata la missione a Mosca e Pechino, non autorizzata e neppure annunciata, il premier ungherese ha scritto al presidente del Consiglio europeo Charles Michel e ai capi di Stato per informarli sui contenuti dei colloqui dello scandalo. L’ingrato compito di giustificare l’escursione che ha portato vicino all’isteria le cancellerie europee spetta al ministro per gli Affari europei Bòka, direttamente a Bruxelles, nella conferenza stampa di presentazione di un semestre di presidenza ungherese che peggio di così non poteva esordire. Fa quello che può e non è molto. Assicura che Orbán era in veste di presidente del consiglio dell’Ungheria senza ambiguità sul ruolo europeo. Minimizza la mossa come tesa solo a «verificare le possibilità di un cessate il fuoco». Che i giornalisti gli credano o meno cambia poco. Non è quello il vero tribunale.
IL PROCESSO SI SVOLGE a porte chiuse poco distante, nell’assemblea degli ambasciatori presso la Ue. Il rappresentante magiaro illustra la medesima tesi ma i 25 convitati, con la sola eccezione dell’ambasciatore slovacco ma con la partecipazione attiva di quello italiano, gli saltano al collo. Squadernano uno dopo l’altro tutti gli elementi che contraddicono la versione addomesticata di Budapest. Rinfacciano agli ungheresi l’uso degli hashtag europei, impugnano le reazioni di Putin come prova provata dell’ambiguità. Accusano Orbán di aver «deliberatamente e chiaramente confuso i confini tra iniziativa ungherese o della presidenza europea di turno». Requisitorie pesanti, che potrebbero portare all’accusa di aver violato il «principio di leale cooperazione» aprendo così le porte alla sanzione di cui da giorni si parla ovunque tranne che proprio nell’incandescente assemblea degli ambasciatori: l’interruzione anticipata della suddetta presidenza di turno. Nessuno la chiede. Nessuno la minaccia apertamente, anche se l’italiano Tajani ammette che «è in corso una valutazione anche giuridica sull’opportunità che Orbán resti presidente». In realtà che si arrivi a un gesto tanto estremo, tale da essere addirittura definito dalla forzista Ronzulli «un atto di guerra», è molto improbabile anche se non impossibile. Lo stesso Tajani, pur molto critico, evita toni troppo drastici: «Come premier ungherese è libero di fare i viaggi che vuole ma stando attento a non indebolire l’unità, punto di forza dell’occidente, della Ue e della Nato». Per ora la levata di scudi vuole essere soprattutto un segnale, anche se decisamente forte.
I LEGHISTI COLGONO l’occasione per difendere a spada tratta il loro compagno di eurogruppo, padre fondatore dei Patrioti per l’Europa, ma anche per bersagliare in gruppo le decisioni annunciate dalla premier a Washington: lo stanziamento di altri 400 milioni per gli aiuti a Kiev, che arrivano così a un miliardo e 700 milioni, l’impegno a fornire ulteriori sistemi di difesa aerea Samp-T all’Ucraina. Il generale Vannacci, vicepresidente dei Patrioti, parte dalla difesa dell’ungherese, «ha dimostrato che l’Europa può ancora avere un ruolo attivo nella ricerca del negoziato», poi liquida la formula meloniana di «pace giusta»: «Non esiste nella storia dell’umanità che si è sempre basata solo sulla pace dei vincitori». Il capo dei senatori leghisti Massimiliano Romeo chiede di applaudire il reprobo: «Invece di stracciarsi le vesti dovrebbero lodare certe iniziative». Il vicesegretario Andrea Crippa va dritto al punto, come del resto aveva già fatto il capo Salvini: «Aumentare gli aiuti militari Nato innalza solo i rischi di escalation e coinvolgimento diretto della Nato».
È PROBABILE CHE da un lato le rumorose prese di distanza dalla sua linea della Lega abbiano irritato la premier. Ma da un altro e forse più significativo punto di vista le danno involontariamente una mano: confermano che nella destra europea ma anche in un’Italia considerata da sempre anello debole la sola garante della tenuta atlantista è lei. È una carta che ha già giocato più volte e sempre con successo. Ora la cala nella partita, tanto importante quanto difficile, della nuova Commissione europea.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento