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La Kiev «liberata». Musica per resistere all’angoscia

La Kiev «liberata». Musica per resistere all’angoscia

Il limite ignoto Bandiere gialloblù e arcobaleno sono le uniche presenti al festival organizzato nella capitale

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 giugno 2023

«Questa è la cosa più bella che mi capita da più di un anno», racconta Ivàn visibilmente alticcio e un po’ commosso. Intorno a lui centinaia di ragazzi ucraini riuniti in una zona periferica di Kiev, in quello che era un ex complesso industriale abbandonato. Un’organizzazione locale ha deciso di chiedere il permesso al municipio di prendere in gestione quell’area e ha passato gli ultimi due mesi a lavorare alacremente per renderla agibile.

L’OBIETTIVO era organizzare un festival musicale. Non solo sono riusciti a ripulire tutto e a costruire ciò che serviva grazie a donazioni e aiuti vari, ma il festival è stato un successo. Due giorni di musica rock ed elettronica, migliaia di ragazzi che saltavano felici e, per qualche ora, lontani dal pensiero della guerra. Per qualche ora le sirene non hanno suonato, gli organizzatori avevano anche previsto un piano per un’eventuale emergenza bombardamenti ma per fortuna non ce n’è stato bisogno. Non ci sono stati incidenti, risse o problemi vari. Ma, soprattutto nelle sale con i dj set e la musica elettronica, tutti saltavano davvero, sudavano, si dimenavano, in una parola, si divertivano. Sembra strano, eppure è così.

«NIENTE COLTELLI, niente droghe, niente casini», dopo un breve controllo una delle organizzatrici intima le regole, «ah, e niente riprese, abbiamo i nostri che se ne occupano». I proventi dei biglietti saranno devoluti per cause umanitarie legate alla guerra, lo spiegava il sito internet del Festival e un cartello all’ingresso. Ma dentro non si sente parlare di guerra. Dei quattri palchi montati, i due principali (uno all’esterno e uno all’interno) sono per i gruppi e i dj più famosi. Sul palco piccolo all’esterno troneggia una bandiera arcobaleno e una nutrita rappresentanza della comunità Lgbtq della capitale balla al ritmo di note allegre vagamente sudamericane in uno sfoggio di colori che emanano dal trucco e dagli abiti. Sottoterra l’atmosfera cambia: in un mix di cyberpunk e look raver da anni ’90, corpetti e occhiali da saldatore che non si vedevano da almeno due decenni. Da dove li abbiano tirati fuori resta un mistero. Sebbene facciano tutti la spola tra i banconi dei bar e le sale non si vede nessuno ridotto male. L’atmosfera non è quella della distruzione di sé stessi, ma della liberazione. Nelle ore trascorse sotto le luci stroboscopiche si vedevano molti ragazzi ridere e piangere contemporaneamente mentre continuavano a ballare. Nessuno vestito con l’uniforme, ma molti erano militari. Qualcuno addirittura aveva fatto in modo di farsi dare il congedo proprio in corrispondenza con il Festival. Altri semplicemente sono di stanza qui nella capitale. Nessuna bandiera se non quella gialloblù e quella arcobaleno. Tutti gli artisti a fine concerto urlano «gloria all’Ucraina» e il pubblico risponde gridando a squarciagola.

C’È UN LATO nascosto della guerra, un problema minore come si suol dire. È la sparizione dei momenti di socialità votati al divertimento con gli amici, delle relazioni con i coetanei al di fuori dell’emergenza o della necessità. I giovani ucraini, dopo mesi di paura, passati spesso sui social network a condividere notizie sul conflitto o a tentare di contattare uno dei propri cari al fronte, stanno attuando la propria personale resistenza all’angoscia. Certo, ognuno la vive a modo proprio, c’è chi non esce di casa da tempo, chi si è rintanato con i familiari rimasti, magari nelle case di campagna, e a divertirsi non riuscirebbe neanche volendo. E poi c’è chi invece soffre la solitudine, la mancanza di contatto (anche fisico) con gli altri, decine di migliaia di ragazzi e ragazze ai quali la guerra ha tolto la possibilità di esprimere la propria vitalità. I disagi psicologici che l’invasione russa ha causato non sono pochi e le conseguenze sugli individui e sulle fasce di popolazione più deboli scoppieranno con la stessa intensità della deflagrazione delle bombe. Ma questa è materia da specialisti, seppure si percepisca chiaramente che gli strascichi della sofferenza per un popolo in guerra sono un fardello opprimente. In questa sede ci interessa soffermarci su un progetto straordinario e a tratti impensabile che può stravolgere il nostro modo di pensare alla guerra, abituati come siamo a vedere solo immagini di sofferenza e strazio.

ALLE 22 LA MUSICA si interrompe e le luci si accendono, tutti fuori in pochi minuti. C’è il coprifuoco e bisogna rientrare. Inoltre, di notte Kiev viene bombardata quasi costantemente, è pericoloso. Fuori ai cancelli dei ragazzi che sentono parlare in italiano si avvicinano: «Volevamo ringraziarvi per quello che fate per il nostro Paese». Iniziano a cantare Bella ciao ma non conoscono le parole e ripetono solo «una mattina…» e poi il ritornello. Riprendono a ballare e saltare mentre il resto della folla si allontana scherzando e urlando, come si fa tra amici. Poco dopo le strade sono deserte di nuovo, nella capitale ucraina sta per iniziare un’altra notte di guerra.

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