La guerra produce e mette in pratica armi di distruzione di massa. Contemporaneamente si rivela come una potente arma di “distrazione di massa”. Nei giornali, nelle tv, sui social è sparita bruscamente la pandemia, e gli effetti del riscaldamento climatico. Con una qualche soddisfazione delle élites del Novecento – al comando ci sono sempre loro – molto più attrezzati a parlare di guerra che di una pandemia che continua a durare, e che durerà a lungo in questa o altre forme, fin che il genere umano non ridefinirà i suoi rapporti con la natura e con le altre specie animali e vegetali. O del fatto che per il riscaldamento climatico, la siccità che fa morire di fame e di sete migliaia di bambini nel mondo, si presenta anche da noi con i nostri fiumi che cominciano ad asciugarsi molto prima dell’estate.

I generali e gli esperti di geopolitica hanno preso nei talk show televisivi il posto riservato fino a ieri ai virologi e agli epidemiologi. Ma nella distrazione diffusa si impone, tramite la guerra, una vecchia idea di sviluppo, che accomuna Putin e l’Occidente. La priorità dell’investimento in armi e nel rafforzamento degli eserciti.

Per Putin anche a costo dell’immiserimento crescente il proprio Paese, per l’Occidente riproducendo un ben collaudato sistema di investimento pubblico trainante, quello della ricerca e della produzione di armamenti. Quello che ha da sempre trovato il consenso anche dei liberisti più incalliti, quelli stessi che magari demonizzavano la spesa pubblica sulla sanità, sull’istruzione, sulla salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale.

Ma la priorità dell’investimento militare si trascina con sé un’altra priorità, quella della lotta per assicurarsi il controllo delle risorse naturali e dei giacimenti energetici. Non quelli derivanti dal sole, dall’acqua del vento, ma quelli delle fonti fossili.

Ci stiamo impegnando per sostituire il gas e il petrolio russo, non a diminuire la nostra dipendenza dal gas e da tutte le altre fonti fossili. Gli investimenti per cercare nuovi giacimenti di gas sul territorio, per costruire nuovi metanodotti e gasdotti, o addirittura per l’importazione dagli Usa di gas liquefatto tramite navi, aggiungendo disastro climatico a disastro climatico, per essere economicamente compatibili hanno bisogno di restare attivi per decine di anni, rendendo difficile la svolta ecologica che tutti a parole – il bla, b la di Greta – dicono di volere perseguire.

La guerra insomma si rivela ad Est come ad Ovest come il terreno per rilanciare un vecchissimo modello di sviluppo, quello che sta portando il genere umano vicino ad una catastrofe senza ritorno, traghettandolo oltre la pandemia e le sacrosante preoccupazioni per il riscaldamento climatico.

Non si è fatto distrarre fortunatamente papa Francesco, che ha espresso la sua vergogna di credente e di cittadino di fronte all’aumento delle spesse militari votato anche dal parlamento italiano. Le armi che ci sono bastano ed avanzano a far saltare in aria tutto il Pianeta. E la pace in Ucraina diventa possibile se accompagnata da un impegno comune di tutti i governi e di tutti i popoli per un disarmo su vasta scala, e dalla fine del conflitto per il controllo delle risorse energetiche fossili.

E non si sono fatti distrarre i ragazzi di Fridays for future che hanno sfilato in tante piazze del mondo, contro quello che loro ritengono il pericolo più grande di tutti: che la guerra faccia accantonare l’impegno contro il riscaldamento climatico. Sarebbe un disastro epocale se la lotta contro il guerrafondaio e petroliere Putin che invade l’Ucraina, ci facesse diventare tutti più guerrafondai e più petrolieri.

A Roma in una manifestazione grande e gioiosa il corteo era aperto da due grandi drappi, tenuti da decine di mani di ragazze e ragazzi, uno verde e uno con i colori della bandiera della pace. Pace e salvezza del futuro del genere umano vanno insieme e solo insieme possono battere i venti di guerra e i ritorni al passato della crescita irresponsabile. I ragazzi erano tanti, ma – tranne una vivace presenza della Flc Cgil – erano soli. Ma da soli hanno pensato anche a tenere insieme impegno per l’ambiente e quello per un lavoro di dignità.

Un grande striscione verde ricordava la battaglia vinta a Civitavecchia da un vasto fronte che ha visto insieme sindacato, associazioni ambientaliste, comitati di cittadini, e le istituzioni locali e la Regione, e che ha convinto Enel a convertire la centrale a carbone di Civitavecchia non a gas ma a idrogeno verde, da produrre con la forza del sole e del vento. Per avere tra l’altro più lavoro e di migliore qualità. “Da Civitavecchia un messaggio corale: energie rinnovabili e giustizia sociale”. Un auspicio per un futuro in cui una piazza ancora più grande veda insieme i giovani studenti e i sindacati dei lavoratori.