La guerra, con il suo protrarsi, fa sentire i suoi effetti ben oltre l’ambito militare: ridisegna scenari geopolitici, ridefinisce le coordinate della crisi, inasprisce le tendenze alla polarizzazione della ricchezza così caratteristiche della nostra epoca. L’onda lunga di simili sconquassi si ripercuote sul vecchio continente con maggior vigore che altrove, ed in Italia in maniera particolare, a causa delle debolezze strutturali del Paese, del suo apparato produttivo e della sua classe dirigente.

ANCHE LA GERMANIA ha dovuto presto rinunciare ad ogni ruolo di mediazione, cui pure all’inizio del conflitto sembrava vitalmente interessata a causa delle scelte strategiche di lungo periodo compiute da classi dirigenti che avevano legato le potenzialità di sviluppo economico del Paese all’approvvigionamento di materie prime russe a buon mercato.

Se le basi politiche del disegno di Berlino sono evaporate come neve al sole, le fondamenta economiche tedesche rimangono tuttavia le più solide d’Europa. Di questo si è fatto forte il cancelliere Scholz nell’imporre all’Unione Europea, spalleggiato dalla presidenza francese, un rilassamento della dottrina sugli aiuti di Stato, per poter rispondere all’offensiva economica sul medesimo terreno dell’amministrazione Usa.
Ciò che però manca completamente all’iniziativa franco-tedesca è il respiro europeo. Anzi, essa è tutta proiettata in chiave nazionale: ogni progetto di emissione di debito europeo per finanziare la crescita è esplicitamente escluso, i paesi «virtuosi» potranno procedere per conto proprio, mentre quelli maggiormente indebitati dovranno continuare nel solco dell’austerità. È come se la rottura con la Russia venisse compensata dal rilancio del disegno neo-mercantilista che aveva già contribuito ad acuire la crisi dell’area euro.

In questo scenario il paese maggiormente penalizzato risulta l’Italia, oltretutto potenzialmente sottoposta ad una nuova ondata speculativa diretta contro il proprio debito pubblico.

L’ITALIA SI TROVA insomma messa all’angolo. Come reagisce il governo Meloni? Da una parte fa appello al patriottismo dei «risparmiatori italiani», chiamati ad affollare per orgoglio patrio la prossima asta di emissione di titoli del debito, una misura retorica i cui cascami pratici sono tutt’altro che assicurati. Dall’altra, molto più concretamente, procede spedito con lo sciagurato progetto dell’autonomia differenziata, che permetterebbe alle aree forti del nuovo triangolo industriale (Lombardia, Emilia, Veneto) di inserirsi in via subordinata sulla scia dell’auspicata ripresa tedesca, scrollandosi di dosso il peso rappresentato dal resto del Paese. Retorica patriottarda da anni Venti e pratico disfacimento dell’unità nazionale sono del resto meno contraddittorie di quanto appaiano, se solo si pensa alla natura di classe del governo Meloni e del blocco sociale che lo sostiene.

SE UNA RIFORMA progressiva della nostra fiscalità terrorizza i suoi elettori, così come ogni ipotesi di direzione pubblica dell’economia, al governo rimangono poche alternative ad una rotta liberista a guida lombardo-veneta, nella speranza che il risparmio immobilizzato sui conti correnti degli italiani, sotto la minaccia dell’erosione da inflazione, prenda la via del finanziamento del debito necessario a pagare la spesa corrente. Nel frattempo i salari rimangono al palo (come auspicato anche dal governatore della Banca d’Italia, in base ad una lettura quanto meno parziale dell’origine dell’inflazione), il peso dell’inflazione ricade unicamente sulle spalle dei lavoratori e la corsa al riarmo è finanziata dai tagli al welfare.

Le scelte – o l’inerzia – che caratterizzano il governo di destra rispondono comunque ad una concreta impostazione di classe, e avrebbe poco senso limitare l’opposizione contro di esso alla messa in evidenza delle “figuracce” di Meloni e Co. sullo scacchiere europeo.
Un atteggiamento che ha caratterizzato il centro-sinistra ai tempi del berlusconismo, e che ha prodotto molto poco dal punto di vista del necessario cambiamento di paradigma egemonico nel Paese. La destra di governo risponde alle sollecitazioni del proprio elettorato di riferimento, alimenta la formazione di un blocco storico che rischia di garantirne a lungo le fortune elettorali, specialmente a fronte del progressivo sgretolamento del tradizionale insediamento sociale della sinistra.

LE POLITICHE governative, nella loro pochezza, fanno comunque leva sulla promozione di interessi concreti, e su interessi altrettanto concreti dovrebbe basarsi la costruzione dell’alternativa. Mobilitazione affinché l’Europa trovi un ruolo autonomo e si faccia promotrice di una conferenza di pace e di sicurezza; opposizione risoluta all’autonomia differenziata; lotta per gli aumenti salariali e per la difesa del reddito di cittadinanza; piani per il rilancio del ruolo pubblico nei settori strategici dell’economia costituirebbero altrettante assi lungo le quali ingaggiare la battaglia, facendo leva sui bisogni reali della maggioranza della popolazione.