La guerra fa bene a Big Oil: 281 miliardi in due anni
Crisi Ucraina Oltre metà dei soldi della ricostruzione è già nelle tasche di Bp, Shell, Exxon, Chevron e Total
Crisi Ucraina Oltre metà dei soldi della ricostruzione è già nelle tasche di Bp, Shell, Exxon, Chevron e Total
Chi sta vincendo la guerra in Ucraina? Di certo le principali compagnie petrolifere del pianeta. Global Witness, la Ong internazionale che si batte per la giustizia ambientale e climatica, ha calcolato che dall’invasione russa del febbraio 2022 ad oggi le cinque più grandi società del settore hanno guadagnato ben 281 miliardi di dollari. Sono, nell’ordine: BP, Shell, Chevron, ExxonMobil e TotalEnergies. Compagnie inglesi, americane e francesi. Sommando i profitti delle due società inglesi, Shell e BP, secondo lo stesso studio si avrebbe la somma necessaria a coprire il costo delle bollette elettriche domestiche di tutti i cittadini britannici fino a luglio del 2025.
PER GLI AZIONISTI di tali gruppi, ciò ha significato dividendi da spartire per un valore di 111 miliardi di dollari nel 2023. Di questi, soltanto i 15 miliardi andati agli azionisti di TotalEnergies sarebbero più che sufficienti a ripagare i danni causati da temporali e siccità in Francia nel 2022.
Questione di prezzi, lievitati grazie alla combinazione di guerra e speculazione. Non è un mistero, d’altra parte, che il prezzo delle materie prime lo fanno per lo più le scommesse sui mercati finanziari. Milioni di barili di petrolio, o metri cubi di gas, virtuali, scambiati a mezzo di contratti derivati, come abbiamo imparato a nostre spese, due anni fa, col metano quotato ad Amsterdam. Un segno dei tempi. La finanza va dove si fanno profitti. Senza riguardo per problemi etici, sociali, ambientali. Non importa se si scommette sul prezzo delle materie prime energetiche e delle commodity agricole, o su una catastrofe naturale: è il guadagno rapido che conta. Una decina di anni fa Deutsche Bank lanciò un prodotto per scommettere addirittura sulla durata della vita di persone anziane. Spaventoso: chi investiva in questi titoli doveva sperare che l’anziano morisse il più presto possibile, perché più campava più si riducevano rendimenti e capitale.
GUERRA, PROFITTI, questione ambientale. Tutte le multinazionali dell’energia, a cominciare da quelle citate nel rapporto di Global Witness, hanno in quest’ultimo periodo ridimensionato i loro obiettivi per il clima. Non è il tempo di investire in soluzioni a bassa emissione di carbonio. I fossili portano soldi, perché rinunciare alle opportunità che offre la guerra? Scelte che hanno avuto ricadute anche sui livelli occupazionali di alcune società. Come nel caso di Shell, che non si è fatta scrupoli a pianificare il licenziamento di 200 dipendenti della sua green division.
«L’invasione dell’Ucraina – ha dichiarato Patrick Galey, ricercatore presso Global Witness – è stata devastante per milioni di persone, dai comuni ucraini che vivono sotto le bombe, alle famiglie europee che lottano per riscaldare le proprie case. Ma non tutti stanno perdendo in questo conflitto. Le major dei combustibili fossili stanno accumulando ricchezze indicibili grazie alla morte, alla distruzione e alla spirale dei prezzi dell’energia».
UNA MINIERA d’oro la guerra in Ucraina, insomma, per i big dell’energia e per i fondi speculativi. Ma non è finita qui. All’orizzonte c’è anche la ricostruzione del paese. I conti, da ultimo, li ha fatti la Banca mondiale: serviranno 486 miliardi di dollari (finora i danni ammonterebbero a 152 miliardi). Due volte e mezzo il Pil che Kiev ha realizzato nel 2023. Ma ci sono anche stime più alte. Nel corso del Recovery Construction Forum, la conferenza internazionale del settore delle costruzioni per la ricostruzione dell’Ucraina svoltasi a Varsavia il 15 febbraio 2023, dunque già un anno fa, si parlava infatti di 750 miliardi di dollari. Distruggere per ricostruire. Un grande business, al quale chiedono di partecipare centinaia di imprese di decine di paesi, Italia compresa (Ance, l’associazione italiana dei costruttori edili, ha firmato a tal fine un memorandum con l’omologa Cbu, la Federazione ucraina delle costruzioni).
CHI METTERÀ i soldi? Le finanze pubbliche degli stati che siederanno alla grande mensa faranno la loro parte con la creazione di fondi ad hoc, poi toccherà alle grandi banche d’affari internazionali far lievitare le somme stanziate. A suon di debito. BlackRock e JP Morgan, non a caso, sono già all’opera.
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