Internazionale

La guerra di Nidia Diaz

La guerra di Nidia DiazLa deputata Nidia Diaz

Salvador La storia di una comandante del Frente Farabundo Marti, oggi deputata

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 10 aprile 2016

La cicatrice è profonda e copre tutto il braccio, ma lei non la nasconde: una ferita di guerra, ci racconterà nel corso dell’intervista. Una guerra che non aveva voluto, ma la vita, nel Salvador degli anni ’70, l’ha messa di fronte a una scelta. E lei, Maria Marta Concepcion Valladares Mendoza, benché fosse cristiana praticante, non si è tirata indietro: è diventata Nidia Diaz, mitica comandante del Frente Farabundo Marti para la Liberación Nacional (Fmln), che ha contribuito a fondare. Nata il 14 novembre del 1952 a San Salvador, Nidia ha incontrato l’impegno sociale attraverso l’arte e la religione cattolica: due zii che, a 8 anni, la portavano a recitare alla radio e in teatro, un ritiro spirituale in un convento di gesuiti verso i 13 anni, le giornate di alfabetizzazione organizzate nelle comunità povere dalle suore del collegio. «Un impegno che ci abituava a guardarci dentro e a pensare – ricorda ora – e poi ad agire in conseguenza di quel che avevamo capito. Ho partecipato con questo spirito a diversi gruppi cristiani impegnati nel sociale».

Nel 1970, va all’università e sceglie medicina: «L’idea iniziale era quella di diventare psichiatra, perché mio fratello era psicofrenico e quando si doveva ricoverare andavo spesso in clinica. Ma poi ho deciso per la psicologia. Nel 1972, la vita nelle università si fece difficile. Allora, le oligarchie e gli Usa imposero il Colonnello Arturo Armando Molina come presidente della repubblica, annullando con la forza la vittoria della coalizione Unión Nacional Opositora. Il colonnello decise di invadere l’Università per stroncare la lotta del movimento studentesco e delle sinistre. Tutto venne distrutto. Durante una manifestazione, un compagno mi è morto di fianco, Carlos Fonseca. Fu uno spartiacque. Decisi di partecipare alla guerriglia. Studiavo, ma partecipavo a tempo pieno nella lotta».

Nel ’77, Nidia deve cambiare nome perché arrestano dei compagni a lei vicini: il primo di molti altri nomi di battaglia con cui cercherà di sfuggire alla polizia che l’ha identificata come una presenza pericolosa perché organizza operai e contadini. «Allora – ricorda -, come fondatrice del Partido Revolucionario de los Trabajadores Centroamericanos avevo già responsabilità politiche. Ne 1980 ho detto a mia madre che andavo a fare un viaggio in Guatemala, invece sono partita con la guerriglia. L’anno prima c’era stato un colpo di stato. Nel gennaio dell’80, il popolo unifica i suoi fronti di lotta, si crea la Coordinadora revolucionaria de masa. A marzo uccidono il vescovo Oscar Romero. Io sono già nella direzione del Fronte unificato. In poco tempo, si chiudono gli spazi di dialogo, gli omicidi si moltiplicano. Nell’81, scoppia la guerra civile. Io ero incinta di quattro mesi. Speravo che finisse in fretta e che potessi crescere il mio bambino, invece durerà 12 anni».

Per tutta la guerra civile, Nidia è nella direzione dell’Fmln. Nell’84, partecipa al primo dialogo con il governo e poi a tutti quelli che seguiranno nel corso di 8 anni. Ma il 17 aprile del 1985, durante un’incursione militare a un campo della guerriglia, riceve quattro proiettili nel braccio. «Ho fatto finta di essere morta, pensavo alla maniera per suicidarmi, eravamo preparati per farlo. Però mi catturarono e mi ritrovai in un elicottero, con una pistola puntata alla tempia. Tentai di lanciarmi nel vuoto, ma venni fermata. Uno della Cia disse: non ammazzatela, ci serve viva. Sapevano che ero una comandante. Mi hanno torturato, mi facevano sentire i pianti di un bambino dicendomi che era mio figlio. Il dolore alla ferita era atroce, ma avevo paura che mi drogassero e che potessi parlare. Sono stata sequestrata per 190 giorni, finché il governo Duarte mi liberò in cambio di sua figlia Ines, che era stata sequestrata dalla guerriglia. Andai a Panama e poi a Cuba e poi in Cecoslovacchia, e infine in Svezia dove la mia famiglia si trovava in esilio. Dal 1987, dopo varie operazioni, feci parte degli accordi di pace, di tutte le tornate che porteranno agli accordi del 1992».
Dal ’94, l’Fmln partecipa al processo elettorale: Nidia è parlamentare per il periodo tra il 94 e il ’97, poi è eletta al parlamento Centroamericano, poi deputata supplente e poi deputata titolare com’è oggi, fino al 2018: è responsabile internazionale per il suo partito, e la si vede spesso come osservatrice ai processi elettorali dell’America latina progressista o ai forum dei movimenti, come quello di San Paolo, che a giugno verrà ospitato in Salvador.
«Continuamo la stessa lotta con altri mezzi – dice – anche se a volte penso sia ancora più complicato di prima. Nel 2006, per la prima volta siamo riusciti a scalzare l’oligarchia dalla conduzione del paese, nei cinque anni con il presidente Funes abbiamo rimesso al centro un’idea di sviluppo coniugata alla giustizia sociale. Con Sanchez Céren, ex comandante guerrigiero, stiamo spingendo più a fondo contro il progetto dell’oligarchia che ha smontato il paese per farne un centro di speculazione finanziaria, un paese improduttivo, che importa prodotti ed esporta manodopera a basso costo che finisce per morire alle frontiere. Ma siamo solo all’inizio. Funes per la prima volta ha chiesto perdono per gli abusi della guerra civile, si è creata una commissione per chiarire quel passato, ma la destra è ancora fortissima. Ora utilizzano le maras, le bande, per aumentare l’insicurezza e destabilizzare così il paese. La nostra speranza è che nasca anche in Centroamerica un processo di integrazione come quello avviato da Chavez con l’Alba, a cui partecipiamo attraverso i municipi».

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