La guerra scatenata da Putin con l’invasione dell’Ucraina può essere letta anche come l’estremo precipitare della deriva che ha caratterizzato la Russia nell’ultimo ventennio e che si è compiuta nel segno del nazionalismo, di un’accresciuta stretta sui diritti civili all’interno del Paese e di un atteggiamento aggressivo verso l’esterno. Questa l’analisi che lega tra loro una serie di testi apparsi in vista dell’anniversario del 24 febbraio.

Ne Il serpente russo (Antonio Mandese editore, pp. 168, euro 20), Massimo Spinelli, che ha vissuto e lavorato a lungo a Mosca come in altre capitali dell’ex blocco sovietico, offre ad esempio una testimonianza di prima mano rispetto al crescere della «minaccia che non abbiamo visto». Spinelli racconta per tappe e con grande attenzione alla base materiale e sociale del putinismo, lo sviluppo di un regime che non esita a paragonare ai fascismi della prima metà del ’900.

Le sue conclusioni interrogano direttamente il contesto nel quale la guerra all’Ucraina ha preso forma. E le possibili evoluzioni della situazione a Mosca. «Non so se sia troppo tardi e non so se la Russia abbia la forza necessaria per voler scoprire l’inganno. – scrive Spinelli – Le hanno fatto credere di essere accerchiata, che il nemico premeva ai confini, che doveva difendersi perché altrimenti la avrebbero annientata, ma il nemico era all’interno e la sta ancora dilaniando come un cancro. La possibilità di resistenza morale alla menzogna diviene allora la base da cui ripartire».

Simile la riflessione che accompagna le pagine de Il libro nero di Putin, curato da Galia Ackerman e Stéphane Courtois e che si avvale dei contributi di alcuni dei maggiori esperti francesi e europei della Russia contemporanea (Mondadori, pp. 434, euro 25). In quelle che gli autori presentano come le «cronache di una dittatura», il volume ricostruisce la genesi e lo sviluppo del sistema di potere che ruota fin dall’inizio degli anni 200o intorno a Vladimir Putin e che viene riassunto, in estrema sintesi, nella volontà di «ripristinare la grandezza geopolitica dell’Urss» e «dell’antico impero degli Zar», proponendo una rilettura in chiave ipernazionalista dell’intera storia del Paese.

Quale sia la realtà che si è costruita quotidianamente nella società all’ombra di questi nuovi sogni imperiali, anche attraverso una sorta di mobilitazione permanente che ha reso le città russe come altrettante retrovie del costante impegno bellico del Paese – dalla Cecenia all’Ucraina -, lo spiega, ricorrendo ad una forma narrativa che intreccia il romanzo con il reportage, Kira Jarmiš ne Gli incredibili eventi della cella femminile n.3 (Mondadori, pp. 370, euro 20).

Portavoce di Aleksej Naval’nyj, una delle figure più note dell’opposizione, che dopo aver rischiato la vita in seguito ad un avvelenamento è stato condannato a 9 anni di carcere in una colonia penale, Jarmiš, a sua volta incarcerata per aver organizzato alcune manifestazioni di protesta e che di recente si è vista costretta a lasciare il Paese, racconta l’esperienza di una «detenuta politica» che condivide la cella con altre donne, a loro modo rappresentanti degli uomini di una società, come quella russa, dominata dalla repressione e dall’arbitrio del potere.

Infine, Luca Steinmann, inviato di La7 e tra i pochi giornalisti occidentali a seguire la guerra in Ucraina «tra i soldati di Putin», descrive ne Il fronte russo (Rizzoli, pp. 350, euro 19) sentimenti, aspettative e frustrazioni di quanti, non solo tra i militari di professione o i mercenari della Wagner, le ambizioni del Cremlino hanno spinto verso un conflitto terribile e selvaggio.