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La grande fuga dal Libano che guarda l’abisso

Rifugiati al confine tra Libano e Siria, al valico di Jdeidet Yabous foto Ap/Omar SanadikiRifugiati al confine tra Libano e Siria, al valico di Jdeidet Yabous – foto Ap/Omar Sanadiki

Striscia continua Il governo: «Già un milione di sfollati». In una settimana più che in tutta la guerra del 2006. Molti tra loro sono profughi di altre guerre. I libanesi cambiano zona, i siriani fanno ritorno in Siria, i palestinesi non hanno dove andare

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 1 ottobre 2024

Non è ancora l’alba nel campo profughi di Shatila quando migliaia di persone prese dal panico iniziano a riversarsi nelle strade. La notte tra il 27 e il 28 settembre è stata una delle più difficili per la capitale libanese di Beirut, a causa dell’intensificarsi dei bombardamenti israeliani nel vicino quartiere di Dahiyeh, che hanno portato all’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, assieme ad altre decine di morti e feriti tra civili.

DOPO UN VIOLENTO bombardamento avvenuto nel cuore della notte a pochi metri dal vicino campo di Burj al-Barajneh, seguito dall’ordine di evacuazione da parte dell’esercito israeliano di diverse aree della periferia a sud di Beirut, la popolazione rifugiata ha iniziato ad abbandonare in massa i campi profughi della capitale. «Ad ogni esplosione scoppiavo a piangere, ma quella notte i boati hanno iniziato ad essere talmente ravvicinati – racconta Sarah dopo essere scappata dalla sua casa affacciata sulla via principale del campo – che le mie lacrime non facevano nemmeno in tempo ad asciugarsi. Ero rannicchiata nel corridoio davanti all’ingresso con uno zaino, pronta per la fuga che sarebbe avvenuta poche ore dopo. Stavo ascoltando una playlist con i versi del Corano, pensavo solo che in questo modo avrei potuto raggiungere direttamente il jannah, se un missile avesse colpito la mia casa».

IL 29 SETTEMBRE il ministero della salute libanese ha confermato il bilancio di 1640 morti e di 8408 feriti a causa dei bombardamenti israeliani, in pochi giorni più di quelli della guerra del 2006. I distruttivi raid israeliani hanno causato la morte di diversi rifugiati palestinesi, tra cui tre dirigenti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina uccisi ieri in un bombardamento nel quartiere di Kola, a Beirut. La violenta offensiva israeliana ha causato inoltre centinaia di migliaia di sfollati tra la popolazione libanese e quella dei rifugiati senza diritti, per i quali mettersi al riparo è ancora più complicato. L’Onu parla di 100mila fuggiti in Siria, il governo libanese dice «già un milione di sfollati». Il Libano ha 5,5 milioni di abitanti.

CON IL PEGGIORAMENTO della situazione, il governo di Beirut ha varato un provvedimento per agevolare l’uscita dal Paese di cittadini siriani e rifugiati palestinesi provenienti dai campi profughi in Siria, privi di uno status legale regolare. Da giorni migliaia di famiglie si stanno ammassando lungo il confine, lo stesso che avevano attraversato in direzione opposta mesi o anni fa, in fuga dalle violenze e dalla povertà del paese.

«All’ottavo bombardamento ho perso completamente la testa – racconta un’altra residente di Shatila che il 28 settembre ha raggiunto alcuni parenti in Siria –. Ho afferrato mio figlio e sono corsa in strada, così come mi trovavo in quel momento, senza nemmeno un soprabito. Ho cominciato a correre, ma non sapevo dove andare, credevo di avere un infarto. Quel giorno abbiamo deciso di lasciare il campo».

NON HANNO ALTRA TERRA che li accolga, invece, i palestinesi del Libano. Mentre i bombardamenti si intensificano e interi campi si svuotano, altri sono ormai al collasso per l’afflusso costante di sfollati, in quella che molti cominciano a definire una «nakba permanente». Nelle strade della capitale spuntano intanto sempre più insediamenti improvvisati, fatti di tende e baracche precarie, sotto il passaggio minaccioso dei droni israeliani che volano a bassa quota, accompagnati dal loro ronzio insopportabile.

«La situazione sta diventando sempre più simile a quella che per mesi abbiamo guardato impotenti dagli schermi dei nostri cellulari – spiega Manar dei comitati delle donne di Shatila, che assieme a molte altre organizzazioni, palestinesi e libanesi, stanno coordinando gli sforzi per acquistare e distribuire beni di prima necessità agli sfollati -. Manca di tutto, dai materassi ai pannolini, e ogni giorno è sempre peggio». Dal 24 settembre l’Unrwa ha aperto sette rifugi di emergenza in diverse aree del Libano. Più di 1400 persone si sono già registrate, ma l’agenzia stima che il numero di sfollati palestinesi aumenterà drasticamente nelle prossime settimane.

SECONDO FONTI LOCALI circa 500 famiglie sono state costrette ad abbandonare i giorni scorsi le proprie case nel campo di Burj al-Shamali, vicino alla città di Tiro, per sfuggire ai violenti raid che hanno colpito i villaggi e le città vicine. Anche nei campi limitrofi di Rashidieh e al-Bass, così come negli insediamenti di al-Maashuq e Jal al-Bahr, si registrano continue ondate di sfollamenti. La maggior parte si è diretta verso il nord del Libano, unendosi ai palestinesi in fuga dai campi di Burj al-Barajneh e Shatila, nel tentativo di ripararsi nei campi di Nahr al-Bared e Beddawi, vicino a Tripoli, dove solamente il 28 settembre, sono arrivate centinaia di famiglie. In quest’ultimo, la situazione si è fatta così urgente che alcuni residenti hanno iniziato ad aprire le proprie case e a forzare la porta di una scuola dell’Unrwa per accogliere gli sfollati. Monta intanto la rabbia per l’assenza di un piano ufficiale per la gestione degli sfollati che si riversano nelle regioni settentrionali, sempre più vulnerabili agli speculatori senza scrupoli, che approfittano dell’elevata domanda per gonfiare i prezzi degli alloggi.

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