Dai pager alle comunicazioni radio, la guerra ibrida e psicologica
Libano L’informazione come strumento di pressione. Gli eserciti possono servirsi dell’informatica ma senza sostituire la crudezza della guerra, che ancora si conduce con bombe e armamenti
Libano L’informazione come strumento di pressione. Gli eserciti possono servirsi dell’informatica ma senza sostituire la crudezza della guerra, che ancora si conduce con bombe e armamenti
Dopo dodici giorni di attacchi e strategie psicologiche, prima con i cercapersone esplosivi e poi con vere e proprie campagne di bombardamento aereo, è sempre più difficile distinguere la realtà dalla suggestione sui fronti che coinvolgono Israele.
L’ULTIMO EPISODIO in ordine di tempo è del 28 settembre, quando la stampa mediorientale ha fatto sapere che l’esercito israeliano sarebbe riuscito ad hackerare la torre di controllo dell’aeroporto di Beirut, comunicando a un aereo cargo proveniente da Teheran che se fosse atterrato in Libano, sarebbe stato considerato un bersaglio militare. Il sospetto israeliano è che l’aereo contenesse armamenti destinati al fronte nel sud del Paese dei cedri, riporta la stampa locale.
Ma non sembra essersi trattato di un ennesimo attacco informatico ai danni di un avversario, quanto piuttosto di una trasmissione radio in onde ultra corte (Vhf), in uso negli aeroporti di tutto il mondo. Lo stesso ministro dei trasporti libanese, Ali Hamieh, ha confermato che l’esercito israeliano aveva intercettato le frequenze radio dello scalo. «Chiunque, persino in Italia, con una radio Vhf potrebbe comunicare con gli aerei sintonizzati sulla stessa frequenza ed eventualmente spacciarsi per un aeroporto» spiega al manifesto Stefano Zanero, docente del dipartimento di Ingegneria informatica del Politecnico di Milano nonché aviatore: «Questo normalmente non avviene prima di tutto perché servirebbe un trasmettitore con sufficiente potenza; in secondo luogo il responsabile verrebbe individuato facilmente dalle autorità competenti».
Cosa sia successo esattamente non è dato saperlo, ma è chiaro che non occorra scomodare le capacità cibernetiche di Israele per spiegare un episodio che si inserisce nel solco delle attività a basso livello tecnologico a cui l’intelligence di Tel Aviv ci ha ormai abituato.
«OPERAZIONI impressionanti come quella che ha portato all’esplosione di ricetrasmittenti e cercapersone nella disponibilità di Hezbollah dimostrano una volta di più come l’hype a cui abbiamo assistito per anni di relativa pace fosse mal riposto, quando si immaginava che le guerre del futuro sarebbero state condotte da misteriosi hacker col cappuccio in testa», spiega Zanero. «Gli eserciti possono servirsi dell’informatica come facilitatore e come strumento di pressione tecnologica, ma senza sostituire la crudezza della guerra, che rimane cinetica e ancora si conduce con bombe e armamenti o, tutt’al più, con dispositivi modificati per esplodere». È questo il caso per l’appunto di una serie di apparecchiature che vanno dai cercapersone in uso a Hezbollah fino alle ricetrasmittenti. Sebbene Israele non abbia mai rivendicato l’attacco, rimangono pochi dubbi sulla paternità dell’operazione.
Anche in questo caso, si è temuto che l’attacco potesse essere stato condotto attraverso delle operazioni cibernetiche mentre è ormai chiaro che l’intera operazione sia stata realizzata attraverso un sabotaggio degli apparecchi avvenuto prima che questi finissero nelle mani dei bersagli.
Come riportato dalla Cnn, lo confermano anche delle alte fonti del governo libanese, che hanno studiato alcuni esemplari di cercapersone modificati che non sono potuti esplodere insieme agli altri in quanto erano spenti nel momento in cui è stato diramato il segnale di innesco.
«IMMAGINA di trovarti nella condizione di temere che il tuo stesso telefono possa esplodere, dopo che negli anni questo è diventato praticamente un’estensione dei nostri corpi: ne saresti terrorizzato» osserva Chuck Freilich, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale in Israele e ricercatore dell’Istituto israeliano per gli studi in Sicurezza nazionale. «È chiaro che si tratti di un’operazione progettata per ottenere un effetto sia fisico sia psicologico che ha permesso di colpire dei bersagli con un numero molto limitato di vittime collaterali rispetto a quante ne avrebbe avute un attacco aereo: in ogni caso è destinata a restare nella storia della guerra ibrida». Così come questo conflitto nel territorio Libanese, scoppiato quasi in modo inaspettato tanto da lasciare la popolazione interdetta. Ma ancora una volta, a costruire la narrazione è Israele, che nel frattempo ha preso il controllo di stazioni radiofoniche e telefoni lanciando i suoi messaggi al popolo dei Cedri: «Se ti trovi in un edificio con armi di Hezbollah, stai lontano dal villaggio fino a nuovo avviso».
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