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I droni di Tel Aviv su Beirut. Non ci sono più luoghi al sicuro

Libanesi sfollati con gli occhi al cielo di Beirut, pieno di droni israeliani foto Getty Images/Murat SengulLibanesi sfollati con gli occhi al cielo di Beirut, pieno di droni israeliani – Getty Images/Murat Sengu

Con permesso Nella città mediorientale il lungomare simbolo del neoliberismo estremo post-guerra civile si sta trasformando in un campo nomadi

Pubblicato 10 giorni faEdizione del 1 ottobre 2024

Nei cieli di Beirut non si cerca un segno di Dio, ma l’elica di un drone israeliano. Notte e giorno sulla capitale libanese si sente un ronzio incessante che ricorda chi ha in mano la sorte di quanti camminano sulla terra in questa parte di mondo. Guardare verso l’alto assume così un senso nuovo, di fatale rassegnazione. È la guerra del terzo millennio che ha abbandonato i tamburi e si affida a un suono meno solenne per annunciare che la morte potrebbe venire da un momento all’altro.
Dal lungomare alla Piazza dei Martiri, Beirut è pervasa da un’attività febbrile di formicaio in emergenza. Motorini che sfrecciano ignorando ogni segnale stradale carichi di tappeti, materassi di gommapiuma e bustone tenute insieme dallo spago.

Famiglie intere che si spostano su due ruote rigorosamente senza casco e in ogni condizione possibile, dalle madri che danno il biberon ai neonati ai chi quasi sbanda con le bombole del gas o i boccioni di plastica dell’acqua. Non c’è dubbio: bisogna sbrigarsi. A tarda sera diversi media hanno dato l’allarme dell’inizio dell’invasione e il traffico è impazzito del tutto. Una parte degli sfollati ha scelto di cercare la salvezza in Siria, e secondo alcune stime sarebbero già in 100mila che hanno raggiunto il Paese confinante. Altri hanno solo cambiato quadrante di Beirut, spostandosi sul lungomare o sul piazzale antistante l’imponente moschea Al Amin.

L’ATTACCO di ieri nella zona di Cola, a poca distanza dal centro, ha però ricordato che non ci sono quartieri veramente sicuri a Beirut tranne, almeno per ora, Geitaoui, la parte cristiana a est della città. A ovest sono tutti sospettosi perché è evidente che gli israeliani sanno molto di più di quanto dovrebbero. Ad aiutarli ci sono i droni, gli Hermes 900, velivoli prodotti dalla Elbit di Haifa che hanno fino a 30 ore di autonomia e sono dotati dei più avanzati sistemi di monitoraggio, dalle videocamere ultrasensibili a diversi tipi di sensori e radar. Gli Hermes passano le informazioni direttamente ai satelliti di Tel Aviv e da questi il centro di comando operativo osserva tutto. Quando l’informazione è sicura viene dato l’ordine all’aviazione e, a seconda dell’obiettivo, si rade al suolo un intero isolato per Nasrallah o si fa saltare il piano di un palazzo per i membri del Fronte popolare di liberazione palestinese come ieri a Cola.

Senza bisogno di conoscenze tecniche o militari gli abitanti di Beirut, soprattutto quelli dei quartieri sciiti, hanno capito che ogni notte passata nei dedali di case e stradine strette è una pericolosa scommessa alla roulette russa. Quindi si sono riversati in strada e si accampano come possono. Tappeti a terra, narghilè e fornelli in angolo, ripari improvvisati fatti di pali arrugginiti e teli di stoffa. A distanza di 24 ore la Corniche ha cambiato volto. Un tassista cristiano li definisce «barbari» mentre si dilunga in spiegazioni sul perché gli israeliani hanno fatto bene a colpire il leader di Hezbollah. Ma al di là delle storiche divisioni in seno alla società libanese il lungomare emblema del neoliberismo estremo post-guerra civile, dove agli hotel delle grandi catene internazionali si alternano gli showroom dei marchi di mobili italiani di lusso o di grandi stilisti, che ospita lo yacht club con i natanti da milioni di dollari e l’Università americana di Beirut si sta trasformando davvero in un campo nomadi.

DAI BALCONI rifiniti degli alti palazzi sulla costa i ricchi libanesi e stranieri che nel sistema finanziato da Arabia Saudita e Usa hanno trovato l’Eldorado, osservano le donne con l’hijab nero sedute per terra e gli uomini che parlano in folti gruppi ravvicinati, alla maniera araba, dove sembra quasi che più il discorso sia importante e più bisogna stare vicini. Capita spesso di vedere qualcuno che alza la voce e poi indica verso l’alto. Allora tutti alzano il capo ed è uno spettacolo strano vedere decine di persone di ogni età che indicano un punto nel cielo dove non c’è niente. I nuovi modelli di droni di Tel Aviv, infatti, volano fino a 9mila piedi e, anche laddove fossero visibili, i grattacieli nascondono l’orizzonte. Dall’altro lato, sugli scogli sotto la passeggiata, molti pescano piccoli pesci con lunghissime canne e qualcuno fa il bagno, solo gli uomini però.

Lungo le strade dei quartieri meno turistici e ricchi è un tripudio di bandierine gialle con il kalashnikov e il braccio a pugno chiuso, l’insegna di Hezbollah. Sui muri i cartelli stampati da poco con le foto dei nuovi caduti. Si passa a stento tra le macchine parcheggiate in doppia, terza fila, ma nessuno si preoccupa. Tutti suonano il clacson e vanno per la propria strada. Macellerie Halal, negozi di shisha e articoli da cucina, tanti piccoli alimentari.

UN RAGAZZO si avvicina e chiede perché non abbiamo accompagnatori. «Va bene, prosegui, ma non nei vicoli». Per un po’ veniamo seguiti ma poi la folla nasconde tutto. La tensione è anche in questi piccoli gesti e a Danyeh Hezbollah ha già proibito l’ingresso alla stampa (anche a quella araba). Ogni tanto a ingombrare la strada c’è un grosso 4×4 nuovo con i vetri oscurati, ma nessuno si lamenta. A poca distanza, sui vialoni, qualche scritta «donna, vita, libertà» a ricordare che non tutti sono favorevoli agli ayatollah iraniani.
Dall’altro lato di quella che durante la guerra civile era la «linea verde», ovvero la superstrada che taglia Beirut a metà e divide i quartieri cristiani da quelli musulmani, l’atmosfera è completamente diversa. Le bandierine sono bianche con un cerchio rosso e dentro l’albero di cedro simbolo del Libano. Qui i cristiani hanno le loro case tranquille e, per ora, lontane dalle mire dell’aviazione israeliana.

A PIEDI da un lato all’altro non si impiega neanche un’ora ma si tratta di due mondi ancora separati. Chiese e moschee sono come avamposti strategici che caratterizzano il tessuto urbano per ricordare qual è il clan che comanda il quell’area. Di notte dalla Rue d’Armenie nel quartiere Mar Mikhail si vede in lontananza una croce di neon che sovrasta il centro. Accanto c’è la moschea Al Amin, più bella e molto più ampia, ma i maroniti hanno eretto un campanile più alto del minareto e così da ovest sembra di tendere sempre verso quella croce.

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