Mille miliardi di dollari, quasi 950 miliardi di euro. La somma è impressionante, equivalente al prodotto interno lordo di Danimarca e Belgio messi insieme. Corrisponde ai profitti che le maggiori società mondiali hanno trasferito nei paradisi fiscali nel solo 2022, secondo il rapporto sull’evasione fiscale globale pubblicato ieri dall’Osservatorio fiscale europeo.

La ricchezza italiana offshore, secondo l’Ong Oxfam che ha rielaborato questi dati, ammonta a 198 miliardi di dollari, oltre 198 miliardi di euro, pari a quasi il 10% del Pil nazionale. L’ammanco erariale è stimato in circa 5,6 miliardi di dollari nel 2020 (poco meno di 5,3 miliardi di euro).

Ciò che è ancora più grave è che gli sforzi dei governi per tassare più efficacemente le multinazionali in futuro cambino radicalmente la situazione. In Italia, il problema nemmeno si pone, con il governo Meloni.

Ospitato dalla Paris School of Economics, istituito nel marzo 2021 e cofinanziato dalla Commissione europea, l’Osservatorio è diretta da Gabriel Zucman, un’economista giovane e promettente, formatosi alla scuola di Thomas Piketty, oggi insegna a Parigi e a Berkeley. Il rapporto da lui coordinato presenta i risultati di un lavoro di ricerca svolto da oltre cento ricercatori in tutto il mondo.

La redazione consiglia:
Tassare le multinazionali del 25% per ottenere 170 miliardi in più in Europa

Nell’evasione e di un’elusione fiscale di ingenti risorse da parte di pochi, c’è “del buono, del cattivo e del molto cattivo” ha detto Zucman.

Il “buono”: l’evasione fiscale offshore da parte di individui facoltosi – ovvero depositi bancari non dichiarati, azioni e altri titoli finanziari detenuti all’estero – è diminuita drasticamente, grazie allo scambio automatico di informazioni bancarie introdotto nel 2017 in un centinaio di Paesi. Nel 2022 la ricchezza offshore avrà un valore di 12.000 miliardi di dollari, pari al 12% del PIL globale. Oggi un quarto di questa ricchezza non viene dichiarata al fisco – e quindi sfugge alla tassazione – rispetto a oltre il 90% del 2007. Questo dimostra che è possibile compiere rapidi progressi quando c’è la volontà politica di farlo”.

La parte “cattiva”. Nel 2022, i profitti aziendali globali ammonteranno a circa 16.000 miliardi di dollari, di cui 2.800 miliardi saranno realizzati all’estero, cioè in un Paese diverso da quello in cui ha sede l’azienda – come i profitti registrati da Apple fuori dagli Stati Uniti. Di questi 2.800 miliardi di dollari, 1.000 miliardi sono stati trasferiti in paradisi fiscali, pari al 35% dei profitti realizzati all’estero. Per la maggior parte questi soldi sono indirizzati verso Irlanda, Paesi Bassi, Isole Vergini e Isole Cayman.

Le multinazionali americane sono in prima fila tra i campioni di questa fuga dei capitali dall’erario pubblico. Quasi la metà dei loro profitti esteri sono trasferiti nei paradisi fiscali, rispetto al 30% delle aziende di altre nazionalità. Questa pratica è il frutto di una concorrenza fiscale  che non esisteva prima del 1975. E’ aumentataa nei primi anni 2010 ed è stata implementata dalla crescente digitalizzazione dell’economia. Per i governi, la perdita ammonta all’equivalente del 10% delle entrate raccolte a livello mondiale dalle imprese.

Nel 2021, più di 140 Paesi hanno concordato di introdurre un’imposta minima sulle società del 15% sostenuta dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse). Questo fatto è stato inutilmente festeggiato come una vittoria. Mai è stata tale. La tassa dovrebbe entrare in vigore nel 2024, ma il problema è che è stata “notevolmente svuotato da una serie di nicchie ed esenzioni” sostiene Zucman. Ad oggi si calcola che dovrebbe  assicurare un ritorno fiscale dalle imprese solo del 4,8%, invece del 9,5% che era stato annunciato. Abolendo le esenzioni, i governi potrebbero raccogliere 130 miliardi di dollari in più di entrate fiscali.

Per l’Italia il gettito atteso (che si manifesterà a partire dal 2025) dalla misura si attesta a poco meno di 500 milioni di euro all’anno a regime, nello scenario prudenziale illustrato nella relazione tecnica al decreto attuativo dell’imposta approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 ottobre scorso; su scala globale, i miliardari versano aliquote effettive d’imposta irrisorie (tra lo 0% e lo 0,5%), se raffrontate al valore dei loro patrimoni.

La redazione consiglia:
Tassa del 15% sulle multinazionali: «È ridicolmente bassa, premiati gli autori degli abusi fiscali»

Il rapporto registra anche nuove forme di concorrenza fiscale internazionale: la corsa ai sussidi e alle sovvenzioni per i produttori di energia verde, per esempio. Questa pratica è stata creata nel 2022 dagli Stati Uniti con il loro principale piano a favore dell’industria verde, l’Inflation Reduction Act. E da allora l’Europa sta cercando di imitare questo progetto. A tale proposito l’analisi di Zucman è interessante perché spiega come questo sia un altro modo per moltiplicare le diseguaglianze.

Questi aiuti accelereranno l’indispensabile transizione verde – sostiene – Ma se non sono accompagnati da misure di prevenzione, rischiano di ampliare le disuguaglianze favorendo le aziende che ne beneficiano e aumentando i profitti al netto delle imposte dei loro azionisti”.

Secondo le stime centrali del rapporto, questi crediti d’imposta sulle energie rinnovabili potrebbero costare l’equivalente del 15% delle entrate fiscali delle imprese nel prossimo decennio negli Stati Uniti e quasi altrettanto in Europa. Questo significa che i governi perdono risorse senza avere in cambio una spinta verso la “transizione verde”. Siamo al cuore del “green-washing”.

Negli ultimi quindici anni, molti paesi si sono fatti concorrenza fiscale sleale creando un numero crescente di regimi ultra-favorevoli per attirare persone ad alto reddito o pensionati. In Europa esistono ventotto regimi di questo tipo. Nel 1995 erano cinque. La Grecia concede generose esenzioni fiscali agli stranieri che investono almeno 500.000 euro sul suo territorio. In Italia esiste un regime molto simile. Il totale dei fondi sottratti al fisco dei paesi europei è di 7,5 miliardi di euro.

Senza contare che i miliardari non pagano praticamente alcuna imposta – dallo 0% allo 0,5% – sul loro patrimonio. Questo clamoroso risultato è ottenuto attraverso tecniche di ottimizzazione che permettono di evitare di essere tassati sui redditi e sui dividendi. Sono quindi meno tassati della classe media. Zucman sostiene che tassare il 2% della ricchezza dei 2.756 miliardari del mondo con un patrimonio complessivo di 13 mila miliardi di dollari porterebbe 250 miliardi di euro. Si tratta di stime. In realtà non conosciamo l’entità di questi patrimoni.

“Se i cittadini non pensano che tutti paghino la loro giusta quota di tasse – soprattutto i ricchi e le grandi imprese – inizieranno a rifiutare la tassazione” ha scritto Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001, nell’introduzione al rapporto dell’Osservatorio. Questa situazione può mettere a rischio “il corretto funzionamento della nostra democrazia, indebolendo la fiducia nelle nostre istituzioni, erodendo il contratto sociale”.

L’evasione fiscale da parte di multinazionali e dei capitalisti è stata accettata come un inevitabile effetto collaterale della globalizzazione. Come dimostra il rapporto dell’Osservatorio è invece il risultato di scelte politiche. Gli autori della ricerca sostengono che esistono i mezzi per reagire. Anche partendo da un numero ristretto di paesi che possono accordarsi.

“Similmente agli intendimenti dell’Osservatorio Fiscale Europeo, per Oxfam l’introduzione di un’imposta europea sui grandi patrimoni rappresenta una grande opportunità di riconciliare la globalizzazione con una maggiore giustizia fiscale. – ha detto Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia  – Una misura in grado di garantire maggiore equità del prelievo e generare risorse considerevoli – fino a 16 miliardi di euro l’anno per il nostro paese, se l’imposta si applicasse allo 0,1% dei contribuenti italiani più ricchi – per affrontare le sfide impellenti del nostro tempo come il contrasto alle crescenti disuguaglianze economiche e sociali e la lotta ai cambiamenti climatici”.

La redazione consiglia:
Un’imposta Ue sui patrimoni: la «grande ricchezza» è per tutti

La motivazione della proposta è in linea con i propositi della recente Iniziativa dei Cittadini Europei su un’imposta europea sui grandi patrimoni. La raccolta firme #LaGrandeRicchezza, promossa da Oxfam Italia e collegata alla campagna europea Tax The Rich sostenuta insieme a Campagna Sbilanciamoci, NENS, Rosa Rossa e Tax Justice Italia, è iniziata il 17 ottobre scorso.