La Germania est si può ancora salvare?
Il crollo del Muro Lo scrittore tedesco elaborò questo testo per il settimanale tedesco «die Ziet» che il manifestò pubblicò sul domenicale del 22 novembre 1989
Il crollo del Muro Lo scrittore tedesco elaborò questo testo per il settimanale tedesco «die Ziet» che il manifestò pubblicò sul domenicale del 22 novembre 1989
Mai nella storia uno stato era precipitato in crisi in modo tanto ridicolo quanto la Repubblica democratica tedesca. Nessun riformatore ha annunciato nuove tesi, nessun generale ha fatto ingresso nella capitale alla testa dei suoi carriarmati; niente di tutto questo: l’acuto stato d’emergenza è nato semplicemente dalla defezione dei cittadini; invece che barricate, un esodo di massa; al posto di scioperi e dimostrazioni, l’occupazione di ambasciate; non tafferugli con la polizia ma viaggi in Ungheria. Sul posto sono rimasti un partito disorientato, una quantità di ingordi funzionari, organi di comunicazione che proclamano ininterrottamente formule burocratiche, e a capo di tutto questo un governo che non può perdere la faccia per l’unica ragione che la ha già persa. E gli avversari dileggiano, Marx è morto; e puntano il dito, del resto a ragione, sull’arretratezza e la decadenza del paese, sulla desolazione spirituale, la lordura delle città e dei fiumi, la penuria di tutto ciò che rende la vita colorita e allegra, fatta eccezione per la grappa, inoltre la quotidiana illegalità, l’economia dei privilegi e del nepotismo e l’arbitrio con cui i potenti prescrivono alla gente cosa fare e che pensare, dove spostarsi e quando.
S’aggiunga, sera dopo sera, lo schermo vitreo che offre visioni d’un mondo più ricco, di un mondo senza confini, destinato ai coraggiosi; e infine, quasi i compagni di cui sopra volessero far la propria parte per confermare il quadro, i loro duty free e intershop nei quali si mostra ai poveri cittadini della Rdt la superiorità visibile, palpabile e appetibile dei beni occidentali.
Non c’è da stupirsi che la gente se la svigni alla prima occasione.
In realtà non è Marx ad essere morto, ma Stalin, e fallito non è il socialismo, ma questo specifico socialismo reale; l’altro, migliore, nel nome del quale tanti uomini coraggiosi hanno sacrificato le idee e la vita, ancora resiste. E adesso s’affaccia la speranza che nell’ambito della Repubblica democratica e del socialismo reale si avvii un cambiamento che porti gli uomini ad essere fratelli, a modellare in libertà e giustizia la propria vita, a favorire anche qui l’apertura e dare alla Rdt un contenuto nuovo.
Ma perché è fallito così ciò che era iniziato tra tante speranze?
Tutto iniziò con la guerra mondiale, la prima, alla quale seguì la rivoluzione in Russia. Allora Rosa Luxemburg ammonì che la rivoluzione, alla lunga, avrebbe potuto aver successo solo conservandosi insieme socialista e democratica; da parte loro, Lenin e i suoi compagni ritennero che il successo della loro rivoluzione dipendesse da quello di un’altra, che sarebbe dovuta venire in soccorso, vale a dire la rivoluzione tedesca. Ma quest’ultima andò ad arenarsi appena dopo la partenza, e quella russa rimase isolata in un paese arretrato, trasformandosi in dittatura non del proletariato ma dell’apparato, di stato e di partito: in stalinismo.
La seconda guerra mondiale, conclusasi con la distruzione del Reich e l’occupazione alleata, fece sì che nella zona orientale della Germania sorgesse un ordine che replicava, per strutture e rapporti tra l’alto e il basso, quello sviluppatosi in Unione sovietica. Cos’altro sarebbe potuto accadere? A quale altro modello reale avrebbero potuto rivolgersi i compagni tedeschi? E poiché essi il potere non lo avevano conquistato da sé, ma ricevuto in dono dagli amici sovietici, neanche volendo avrebbero potuto avanzare la pretesa d’un socialismo diverso, modellato sui propri progetti e sulla propria terra.
Una vicenda che conteneva in sé la tragedia, come dimostrarono l’esplosione del giugno ’53 e la fuga di massa dell’estate ’61. Il muro, che mise fine all’esodo, fu un atto di disperazione. Con l’unico vantaggio che la popola– zione non poté più sottrarsi alla corte del partito e del governo: era il momento e l’opportunità per cambiare, per fare del socialismo reale della Rdt un sistema al quale i cittadini potessero far riferimento, piuttosto che fuggirlo.
Ma gli anni passarono senza venir utilizzati; all’ombra del muro antifascista era agevole sognare che nella Rdt la vita socialista fosse in perfetto ordine e salute; coloro che guidavano lo stato e il partito chiusero occhi e orecchie ai pensieri e ai sentimenti dei connazionali e persistettero tenaci nei propri metodi fallaci, con le parole d’ordine di sempre fino a che la perestrojka di Gorbaciov conquistò i cuori anche in Germania orientale e perforò la cinta del confine in Ungheria (il prolungamento del Muro di Berlino); così quella breccia diventò via di fuga, mentre altrove le ambasciate tedesco-occidentali si trasformavano in fortini per fuggiaschi che preferivano resistere nel fango per un paio di settimane piuttosto che tornare sotto le ali del proprio governo.
Bisogna notare che l’allettamento alla fuga dalla Rdt non emana solamente dalle pingui marmitte occidentali. Gli individui che voltano le spalle alla Rdt sono pur sempre persone allevate ed educate in questo paese, alle quali si è non poco parlato di ideali socialisti, solidarietà e proprietà collettiva, giusti salari ed equo trattamento; si potrebbe dunque supporre che di tutto ciò qualcosa fosse rimasto appiccicato ai cervelli e che almeno in alcuni degli esuli fossero presenti, oltre all’ingordigia, motivazioni più alte.
Sia come sia, il grande salasso proseguirà anche se il governo cambiasse atteggiamento – a meno che non si decida di sigillare i confini in modo del tutto ermetico: niente più visti d’uscita per nessuno, niente visite, nulla di nulla. Questa soluzione violenta genererebbe una violenza contraria, e allora ci salvi Iddio.
La Rdt si può ancora salvare? Più importante ancora: merita di essere salvata?
Lo stato patisce di un’intima consunzione. Ne soffriva già al tempo in cui il muro venne eretto come una sorta di corsetto per il corpo cadente; ma da allora, purtroppo, non intervenne mai il medico che avrebbe potuto applicare la giusta terapia, con metodi razionali, saggezza e tolleranza.
Ma cosa fare oggi, adesso, di fronte alla catastrofe, alla palese incapacità delle alte sfere di cambiamenti e riforme? Farci una croce sopra e consegnare la Rdt alle mani fidate della Repubblica federale? Ma quale nazione europea ed extraeuropea desidera una nuova grande Germania dopo l’esperienza storica dell’ultimo secolo?
E, parlando dal profondo dell’anima: è il caso di rinunciare interamente al nobile esperimento del socialismo qui nel cuore dell’Europa, solo perché è stato messo in atto con apparecchiature mal calibrate e componenti errate? Senza dubbio esiste in questo paese un numero sufficiente di individui che rimarrebbero per intraprendere un nuovo tentativo in condizioni democratiche. E ci sono, anche nel Partito comunista, singole persone e istituzioni che hanno elaborato il modello d’un socialismo affidabile, pronti a realizzare i nuovi programmi con il concorso di tutti i cittadini.
Una repubblica democratica tedesca migliore di quella esistente, è necessaria quantomeno per contrappeso alla Repubblica della Daimler-Messer- schmitt-Bòlkow-Blohm-BASF-Hòchst-Deutsche Bank sull’altra sponda dell’Elba; è necessario uno stato socialista in terra tedesca, che garantisca ai suoi cittadini la libertà vera e i diritti che competono ai cittadini liberi; e questo non solo per le persone che vivono nella Rdt e desiderano resistere: un socialismo che funzionasse in modo ragionevole nella Rdt sarebbe indispensabile anche al di fuori dei confini della Repubblica, visto che ovunque nel mondo la sinistra patisce lo stesso fallimento, e dovunque risuonano i dileggi dei reazionari: «cosa, socialismo!? Ma guardatelo un po’, questo socialismo, dal quale la gente fugge a schiere!».
È tempo di svincolarsi dai vecchi schemi e di trasformare il socialismo reale nella Rdt in un reale socialismo, nonostante tutto.
Occorre trovare nuove idee, nuove attitudini, nuovi metodi, nuovi valori e parole in tutti gli ambiti sociali, tanto nell’economia quanto nell’amministrazione, nella cultura, nei media, l’educazione, il sistema sanitario, i trasporti, la politica ambientale.
Ancor più, è necessario costruire nuove relazioni democratiche tra gli individui, un nuovo rapporto tra l’alto e il basso, mediante la critica e il dibattito, ognuno responsabile dinanzi all’altro, eleggibile e destituibile. Ogni cittadino dovrebbe portare un contributo a questi sforzi, con la certezza che le proprie opinioni e proposte sarebbero ascoltate e prese seriamente.
Se qualcosa ha prodotto l’esistenza della Rdt in questi anni, è un processo di maturazione. Proprio nell’opposizione interiore ai proclami ufficiali, una quantità sorprendente di persone ha imparato a pensare ed agire in autonomia; ora è necessario spronarli a partecipare al processo di trasformazione. Tale processo dovrebbe iniziare sul terreno della politica pratica, con correzioni di natura sostanziale; il monopolio di un unico e unico apparato di potere, contrassegno del sistema stalinista, ha dimostrato la sua sterilità; occorre dare spazio alla pluralità delle opinioni, al dialogo, per spalancare la porta della democratizzazione, promuovere l’apertura e uguali diritti per tutti, e delle altre riforme necessarie.
Le elezioni per la camera della Rdt sarebbero parte di questo processo; elezioni libere e segrete, con più candidati scelti da popolo per un mandato e più partiti – che nella Rdt già esistono e che devono solo liberarsi dai vincoli con i quali si sono legati da sé al proprio partito guida. E naturalmente occorre assicurare che il conteggio dei voti avvenga sotto il controllo degli elettori stessi o di persone di loro fiducia;
Un governo nominato e confermato da una camera del popolo eletta in tal modo, possiederebbe la legittimità che l’attuale non ha, e potrebbe avviare su binari sicuri la nuova fase della storia tedesco-orientale: una Rdt cui forse, un giorno, toccherebbe il compito di allestire alloggi provvisori per accogliere gli esuli in arrivo verso il suo nuovo socialismo.
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