Il paradosso della stabilità che produce precarietà
Governo tedesco Il più importante governo “non di destra” d’Europa non esiste più. Non è una sorpresa. Che le cose dovessero precipitare in questo modo era da tempo manifesto. Ma c’è una […]
Governo tedesco Il più importante governo “non di destra” d’Europa non esiste più. Non è una sorpresa. Che le cose dovessero precipitare in questo modo era da tempo manifesto. Ma c’è una […]
Il più importante governo “non di destra” d’Europa non esiste più. Non è una sorpresa. Che le cose dovessero precipitare in questo modo era da tempo manifesto. Ma c’è una perfetta coincidenza tra l’implosione del governo di Berlino e l’elezione di Donald Trump.
La coincidenza illumina uno scenario che va ben oltre la rissa permanente che ha funestato la cosiddetta coalizione semaforo (Spd, Verdi ed Fdp) da quando, nel novembre dello scorso anno, la Corte costituzionale vietò l’impiego dei 60 miliardi di crediti stanziati per la crisi pandemica nel programma di riconversione ecologica del paese, aprendo una voragine finanziaria e scatenando un conflitto senza esclusione di colpi nel governo. Lo scenario è quello di una soluzione di continuità, di un radicale cambio di fase, di un passaggio geopolitico che per la Repubblica federale scardina consolidate sicurezze e garanzie di stabilità. L’espulsione della Russia dall’orizzonte economico europeo, le guerre guerreggiate e quelle commerciali hanno inflitto un duro colpo all’economia tedesca e al suo potere di compensare la debolezza geopolitica di Berlino, riassunto nella abusata formula del «gigante economico e nano politico», un binomio che con tutta evidenza non funziona più. Neanche l’Europa è più quella che, a seconda dei casi, ammirava, temeva o detestava la Germania. L’Est le è ostile e risentito per la passata dipendenza. A ovest, a Nord e a Sud, con l’eccezione della penisola iberica, governano direttamente o indirettamente le destre.
A questa nuova costellazione, all’interno della quale si situano la crescita esponenziale dell’estrema destra in Germania e i peggiori umori sociali, la politica tedesca si è rivelata del tutto impreparata, sprofondata nella più sconfortante inattualità. Con le mani legate da quel masochismo costituzionale che sacralizza i vincoli di bilancio e il divieto di indebitamento, sovraordinandoli alla realtà del mondo, al mutare delle circostanze sociali e politiche e all’irrompere di nuovi squilibri. Una vera e propria mitologia della stabilità che si rivolta invece contro la sua effettiva sussistenza.
Di questa mitologia suicidaria il leader della Fdp Christian Lindner si è fatto difensore più ideologico e dogmatico che pragmatico, conducendo, all’interno di un governo tutt’altro che rivoluzionario, una sfacciata lotta di classe in favore della rendita finanziaria e della proprietà contro ogni ipotesi di incremento della spesa pubblica. Il Cancelliere Olaf Scholz, alla testa di un partito in declino, tanto in termini di consenso elettorale quanto in quelli di inventiva politica, alle prese con la recessione e il catastrofico tracollo dell’industria dell’auto e del suo esteso indotto, di fronte alla prevedibile contrazione del welfare e della previdenza, non poteva più digerire il liberismo fuori tempo e fuori fase del suo ministro delle finanze senza pagare un prezzo spropositato.
Procedere a quel massiccio riarmo della Germania che da tutte le parti viene sconsideratamente richiesto (mentre il ministro socialdemocratico della difesa Boris Pistorius muove i primi insidiosi passi verso la leva obbligatoria) sulle spalle di pensionati e lavoratori è qualcosa che la socialdemocrazia difficilmente sarebbe riuscita a sopportare. Tanto meno nella prevedibile ripresa di una estesa conflittualità sociale che, se inascoltata da un esecutivo votato all’austerità, potrebbe comportare anche risvolti nazionalisti e xenofobi. In questa situazione tutte le formule classiche della politica tedesca appaiono logorate.
Il liberalismo quaresimale e avaro che la Fdp ha scelto come bandiera non è detto che possa essere apprezzato e utilizzato a destra, posto che il partito superi la soglia di sbarramento del cinque per cento alle prossime elezioni politiche. Ma anche la Grande coalizione tra democristiani e socialdemocratici, la classica uscita di sicurezza della politica tedesca, appartiene a un passato sempre meno riproducibile. La Cdu-Csu è alle prese con la concorrenza di Alternative für Deutschland alla sua destra e dunque non nelle condizioni migliori per concordare compromessi a sinistra. A guardare la partita truccata che von der Leyen sta giocando in Europa è evidente che il barometro politico vira a destra.
Se gli attori politici che hanno governato il paese nel dopoguerra soffrono di inattualità, l’incognita è piuttosto come la società tedesca e le sue forze sociali reagiranno, anche sul piano extraparlamentare, a una crisi che ne aggredisce la condizioni di vita e di agibilità politica.
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