Una sigla, più che un’organizzazione vera e propria. La Fai, Federazione Anarchica Informale, condivide le sue iniziali con la Federazione Anarchica Italiana, ma è una cosa ben diversa, complicata da definire con precisione. L’unica certezza è che c’è una data di nascita: il 21 dicembre del 2003, con un volantino che rivendicava l’esplosione avvenuta nei pressi dell’abitazione bolognese dell’allora presidente della Commissione Europea Romano Prodi. Da allora le azioni sono state tante, così come tanti sono stati gli arresti e i processi. Meno le condanne: gli enormi capi d’accusa che di solito vengono dati ai singoli o ai militanti che si riconoscono nella Fai non sempre resistono a lungo nelle aule dei tribunali. Le aggravanti di terrorismo o di finalità sovversiva cadono spesso nel vuoto – così come la questione associativa – e le condanne alla fine riguardano per lo più vandalismi e danneggiamenti, senza ulteriori aggettivi. Altre volte le cose vanno diversamente, è il caso di Alfredo Cospito (ergastolo per una lunga serie di reati, anche di sangue come il ferimento dell’ex ad di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi avvenuta nel 2012) o di Juan Antonio Sarroche (28 anni per un attentato esplosivo senza vittime alla sede della Lega di Treviso).

Di sigle riconducibili alla Fai se ne possono contare almeno 12 in Italia, mentre nel mondo i gruppi informali sono svariate decine. Non si tratta solo di collettivi, ma anche di singoli individui e di gruppetti ridotti che si formano per una sola azione e poi scompaiono nel nulla: il rifiuto di qualsiasi struttura gerarchica, di qualsiasi organizzazione, di qualsiasi forma di burocratizzazione, rende pressoché impossibile quantificare e qualificare i militanti. È la teoria dei «gruppi di affinità» che nel fondamentale «Recipes for disaster», dato alle stampe dal collettivo statunitense CrimethInc nel 2004, si definisce come «un tipo di struttura modellata orizzontalmente, in cui ciò che coordina il gruppo è la collaborazione reciproca, l’amicizia e la condivisione di certi obiettivi».

Se è chiaro che l’anarchismo della sigla Fai deriva dalla supposta volontà di «distruggere lo Stato e il capitale», l’informalità nega alla base l’esistenza di ogni meccanismo autoritario e garantisce «l’anonimato e l’indipendenza dei gruppi e dei singoli che la compongono». Talvolta, infatti, quelli che ritengono di far parte della Fai nemmeno si conoscono tra di loro. In una lettera del 2013, ad esempio, fu proprio Cospito a chiarire che la gambizzazione di Adinolfi era da ricondurre solo a lui stesso e a Nicola Gai: «Nessun altro ha partecipato, collaborato, progettato tale azione; nessuno era a conoscenza del nostro progetto».

Le azioni della Fai sono perlopiù a base di esplosivi: oltre a vari episodi che difficilmente sono usciti dalle cronache locali, si ricordano la già citata bomba messa vicino a casa Prodi, quelle piazzate davanti alle ambasciate di Cile, Grecia e Svizzera nel 2010; quella nella sede romana di Equitalia (2011), a Brescia (2016) e quella contro il portone della caserma dei carabinieri di San Giovanni a Roma nel 2017.

Sul fronte della repressione, da citare l’Operazione Ardire del Ros del generale Giampaolo Ganzer, datata giugno 2012 (40 perquisizioni, 10 arresti e 24 indagati) e la celebre Operazione Scripta Manent, con 7 arresti e decine di perquisizioni. Il processo porterà nel 2019 a 5 condanne e 18 assoluzioni.
I rapporti tra gli informali e il resto della costellazione anarchica sono complicatissimi. Nel 2003, appena una settimana dopo la prima apparizione della sigla, la commissione di corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana prese le distanze con un comunicato durissimo e ancora oggi oggetto di discussione, dicendo di non essere un’organizzazione informale ma collegiale e affermando «la propria condanna di bombe, pacchi bomba e ordigni, che possono colpire indiscriminatamente, e comunque paiono più che altro funzionali alle logiche della provocazione e della criminalizzazione mediatica del dissenso».

Nel febbraio del 2004, sulle pagine di A Rivista Anarchica, appare un breve commento intitolato «Bombe e imbecilli». Tra le altre cose si legge che «gli anarchici lottano alla luce del sole, organizzano scioperi, editano libri e giornali, si battono per i diritti delle minoranze, propugnano l’autogestione e fanno tante altre cose. I pacchi-bomba e i cassonetti della spazzatura li lasciamo volentieri ai servizi segreti e agli imbecilli che vogliano collaborare con loro, gratis o a pagamento poco ci interessa».