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Maysoon Majidi, panico e insonnia: vita a rischio

Maysoon Majidi, panico e insonnia: vita a rischioMaysoon Majidi

Il mondo libero È già dimagrita di 30 chili, assume costantemente psicofarmaci, è in condizioni psicofisiche gravi. Ieri in visita una delegazione Pd con Boldrini e Boccia

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 24 settembre 2024

È un «campo larghissimo» quello intorno all’attivista e regista Maysoon Majidi, reclusa a Reggio Calabria, sotto processo a Crotone per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, che ha ripreso lo sciopero della fame e le cui condizioni di salute peggiorano di ora in ora. Dopo Avs e M5s, anche una delegazione del Pd, guidata dalla deputata e presidente del comitato permanente della Camera sui diritti umani, Laura Boldrini, e dal capo dei senatori, Francesco Boccia, si è recata in visita ieri alla casa circondariale Panzera.

«QUELLO CHE LE VIENE attribuito – ha dichiarato l’ex presidente della Camera fuori dal carcere – è assolutamente falso. Voglio sperare che tutto ciò non sia dovuto al clima politico. Ma è possibile che tutti possono parlare con i due sedicenti accusatori e, invece, il tribunale non riesce ad acquisire le loro testimonianze? Non vorrei che questa modalità, sull’onda dell’idea che bisogna trovare nel globo terraqueo tutti gli scafisti, possa influenzare e arrivare anche laddove invece bisogna valutare sulla base della realtà». Chi ha incontrato più volte Maysoon in questi lunghi 9 mesi è sicuramente Ferdinando Laghi, consigliere regionale di opposizione, vicepresidente dell’associazione Medici per l’ambiente (Isde), medico internista ed ematologo a Castrovillari.

LO INCROCIAMO a margine di un volantinaggio sull’autonomia differenziata: «Sono stato in carcere qui a Castrovillari prima e poi a Reggio per sette o otto volte e sto seguendo in presenza le udienze. Continuerò ad andarci perché mi sembra che vedere e rivedere persone che cercano di sostenerla la faccia sentire meno sola». Il dottor Laghi sa bene quali siano, sul piano psicofisico, le conseguenze di una detenzione, soprattutto se ingiusta: «Nel suo caso la reclusione, del tutto inaspettata, e il conseguente, profondo, senso di ingiustizia rappresentano una fonte di sofferenza psicologica molto importante che riverbera poi anche sul fisico (per esempio nei disturbi del comportamento alimentare) e che, a mio parere, è destinata a lasciare delle ferite interiori che sarà difficile sanare».

CHI SA di non aver commesso ciò di cui viene accusata non può che vivere questa esperienza in maniera drammatica. «Non può essere consentita superficialità in vicende – prosegue Laghi – che prevedano restrizioni della libertà personale. È anche per tutti questi motivi che le misure alternative alla detenzione in carcere credo debbano essere sempre considerate anche come misura per decongestionare il sovraffollamento. La vicenda di Maysoon presenta tanti aspetti non chiari, non logici nella loro evoluzione, altri francamente incomprensibili. Tra cui il reiterato rifiuto della concessione di misure alternative da parte dell’autorità giudiziaria, che a me appare soltanto inutilmente e dolorosamente punitivo».

MAYSOON è dimagrita di 30 chili, non dorme, assume costantemente psicofarmaci, ha attacchi di panico. Rischia la vita se continua a essere tenuta in cella. «Impossibile prevedere le estreme conseguenze di una situazione che spero possa terminare (bene) al più presto. Certamente non c’è motivo di mantenere così evidentemente alta la pressione punitiva, continuando con il carcere, atteso che ciò non pregiudicherebbe per nulla un regolare processo e che la temuta “possibilità di fuga” o altre considerazioni ostative non appaiono realmente fondate. Ritengo Maysoon non tanto un esempio della necessità di riformare strutturalmente le leggi relative al reato di “scafismo”, oltre a quelle riguardanti i migranti, tutte cose sacrosante.

PIUTTOSTO la ragazza di 29 anni che viene dal Kurdistan iraniano è la vittima di un clamoroso errore giudiziario, che ha già pagato a caro prezzo e che rischia di pagare ancor di più nel futuro». I continui scoppi di pianto durante i colloqui indurrebbero a considerarla una persona fragile, oltre che sofferente. «La sua esistenza, ciò che ha sofferto e ciò che ha fatto per darsi una possibilità di vita “normale”, testimoniano di un carattere indomito e di una grande forza interiore. Voglio sottolineare il ruolo, assolutamente fondamentale e non sostituibile, che gli organi di informazione hanno svolto e stanno svolgendo perché su questa vicenda non cali il silenzio».

I RIPETUTI APPELLI a sostenere Mayoon, diramati dal comitato Free Maysoon e la campagna lanciata dalle pagine del manifesto, con la pubblicazione delle sue lettere dal carcere, sono stati raccolti da tante persone, presenti davanti al tribunale di Crotone in occasione delle udienze del processo. «L’ultima volta che ho visto Maysoon – conclude Laghi – le ho chiesto se qualcuno avesse dato seguito al mio appello di starle vicino almeno con una cartolina o una lettera. Mi ha mostrato ben due pacchi di corrispondenza ed è stato uno dei rarissimi momenti in cui ha sorriso. Però, quando le ho chiesto se avesse risposto a qualcuno mi ha detto che ha provato ma non ha mai “trovato la forza” (certo non fisica) per dar seguito a questa decisione. Non è un buon segno».

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