«La forza di protestare dei giovani a Teheran si è spenta»
Iran Intervista allo scrittore Mehdi Asadzadeh: «Quella di oggi è una calma che nasce dal senso di impotenza, dalla disperazione di chi vede la situazione peggiorare sempre di più e non ha fiducia nemmeno in un miracolo»
Iran Intervista allo scrittore Mehdi Asadzadeh: «Quella di oggi è una calma che nasce dal senso di impotenza, dalla disperazione di chi vede la situazione peggiorare sempre di più e non ha fiducia nemmeno in un miracolo»
«Nell’ultimo mese Teheran è stata teatro di numerose proteste: abbiamo visto i ricchi commercianti del bazar, nel centro della capitale, chiudere i loro negozi e scendere in strada; e abbiamo visto i giovani delle classi più povere della società gridare slogan contro il governo e scontrarsi con la polizia».
A raccontarci questo, da Teheran, è lo scrittore Mehdi Asadzadeh. Classe 1987, vive nella capitale dove si è laureato in giurisprudenza e lavora come autore per il cinema, il teatro, la radio e la televisione. Ha pubblicato una raccolta di racconti e il romanzo breve L’ariete che nel 2015 era stato scelto come miglior libro dell’anno dalla rivista Tajrobe ed è ora disponibile nella raffinata traduzione di Giacomo Longhi per i tipi di Ponte33.
Com’è la situazione in questo momento a Teheran?
Adesso la città è calma, ma questo non è un segnale positivo: si tratta di una calma che nasce dal senso di impotenza, dalla disperazione di chi vede la situazione peggiorare sempre di più e non ha fiducia nemmeno in un miracolo. Il ritorno delle sanzioni e il crollo del rial sono però stati un colpo psicologico troppo pesante per la popolazione della Repubblica islamica e la situazione è rientrata, nessuno ha più la forza di protestare.
I giovani iraniani si lamentano di tante cose, non ultimo il servizio di leva obbligatorio. Una questione centrale nel suo romanzo L’ariete.
Per un ragazzo non c’è peso peggiore di dover affrontare il servizio militare: senza l’attestato di fine servizio non puoi ottenere il passaporto e uscire dal paese, non puoi essere assunto né continuare gli studi. Di fatto, per due anni devi lavorare per l’esercito ventiquattro ore su ventiquattro. Passi i migliori anni della tua giovinezza nell’ambiente arido e ostile della caserma. Per un ragazzo a cui non interessa quel mondo, è uno spreco di tempo. In ogni caso, la situazione è migliorata: non ho dovuto impugnare un’arma, sbrigavo lavoro d’ufficio, al computer. È così che mi sono messo a scrivere L’ariete, con protagonista un soldato di leva.
I giovani iraniani temono una guerra, scatenata dagli Stati uniti oppure da Israele?
La mia generazione si deve confrontare con la crisi economica, la disoccupazione e la difficoltà di costruirsi un futuro stabile. Seguiamo con apprensione i conflitti che interessano i paesi vicini, sono decenni che i media ci tartassano con l’ipotesi di un conflitto armato con l’Occidente, ma qui nessuno prende sul serio il pericolo di una guerra.
Lunedì, 20 agosto, ricorrevano i trent’anni dal cessate il fuoco con l’Iraq: la guerra era iniziata nel settembre del 1980, a scatenarla era stato il dittatore iracheno Saddam Hussein. Che peso ha per la sua generazione di trentenni?
La mia generazione non ne conserva ricordo, ma ha influenzato pesantemente le nostre vite: la necessità di difendersi dall’invasore ha fatto sì che si imponesse una sola voce al governo, quella delle forze radicali maggiormente impegnate nel conflitto, mentre i gruppi di sinistra e i moderati sono stati relegati ai margini della scena pubblica. Da allora, le forze radicali hanno cercato di mantenere la supremazia. Inoltre, molte istituzioni create in Iran durante la guerra sono ancora in essere: è normale che durante una guerra l’economia sia largamente statale e i militari siano direttamente coinvolti nelle decisioni, ma in Iran questo status quo perdura: un lascito che coinvolge la mia generazione.
Quale peso ha lasciato quella guerra per chi l’ha combattuta?
Quelli che hanno combattuto hanno conosciuto due destini. La maggior parte dei giovani militanti delle forze popolari hanno trovato una via per l’ascesa al potere e oggi ricoprono importanti cariche politiche. Gli altri sono tornati alle loro vite, con le loro ferite e dolorose memorie, ricevendo il sostegno del governo, anche se non tanto quanto avrebbero meritato. Proprio in questi giorni sui media iraniani è rimbalzata la tragica notizia di un reduce con problemi psicologici per i traumi di guerra: per i suoi tratti somatici è stato scambiato con un afghano entrato illegalmente nel paese ed è stato deportato in Afghanistan, dove è morto di stenti.
Quale diffusione hanno, in Iran, la letteratura e la cinematografia che raccontano la guerra tra Iran e Iraq?
Negli anni Novanta il tema della guerra ha dominato il cinema e la letteratura. Il governo si è impegnato per diffondere una narrazione della «sacra difesa» sostenendo prodotti culturali dai toni celebrativi. A partire dagli anni Duemila nell’arte e nella letteratura si è fatta invece strada una visione contro la guerra: i toni celebrativi sono stati sostituiti dal rifiuto della violenza e da una riflessione sulle ferite che una guerra comporta. La qualità artistica è cresciuta e ogni anno compaiono film e libri di valore artistico che affrontano questo tema, con successo.
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