La fine del deep state non salverà il mondo
Clima e consumi Il mondo bellicista e sempre più diseguale che rischia la catastrofe climatica e atomica è stato il sottofondo dell’incontro di Jeffrey Sachs di lunedì scorso a Roma alla “Fondazione Giuseppe […]
Clima e consumi Il mondo bellicista e sempre più diseguale che rischia la catastrofe climatica e atomica è stato il sottofondo dell’incontro di Jeffrey Sachs di lunedì scorso a Roma alla “Fondazione Giuseppe […]
Il mondo bellicista e sempre più diseguale che rischia la catastrofe climatica e atomica è stato il sottofondo dell’incontro di Jeffrey Sachs di lunedì scorso a Roma alla “Fondazione Giuseppe Di Vittorio” dal titolo emblematico: Geopolitics of a Changing World: how to avoid the Thucydides’s Trap, che cita il precursore del realismo politico ateniese per descrivere la tendenza di una potenza dominante a ricorrere alla forza per contenere lo sviluppo di una potenza emergente.
In effetti i numeri degli ultimi anni parlano chiaro: il mondo sta cambiando velocemente, un mondo dove in Cina il Pil procapite è cresciuto di un ordine di grandezza negli ultimi venti anni e quello totale ha superato quello degli Usa in termini di potere di acquisto, e dove il Pil dei Brics, inizialmente Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica ma ora anche Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran, ha superato, raddoppiandolo, quello del G7, imponendo una sovversione nel chi oggi contribuisce alla reale crescita economica mondiale. Mai più importante di adesso, la stretta relazione tra Pil ed emissioni, impone una riflessione: oggi la Cina è ampiamente il paese che emette più gas serra e questo è un problema di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, di giustizia sociale e di limitazione di un modello economico improntato solo sul profitto e sul consumo infinito delle risorse.
Oggi 100 persone hanno la stessa ricchezza del 99% della popolazione mondiale.
Una egemonia da parte della Cina tutt’altro che effimera, supportata dall’esportazione di prodotti ad elevata tecnologia, dalla propria imponente produzione scientifica, dai ranking e dalla reputazione delle sue università. Una contrapposizione che negherebbe il multilateralismo propagandato dall’occidente, polarizzando ancor più, riducendolo, il policentrismo.
Il tema allora urgente è quello di come affrontare le catastrofi, atomica e climatica, che si prospettano sempre più minacciose all’orizzonte in questo quadro geopolitico che si sta velocemente trasformando verso nuovi, inediti, equilibri. Le tendenze devono poter individuare le sfide da affrontare, e le tendenze oggi riguardano gli aspetti ecologici, quelli tecnologici e quelli socioeconomici, che dovrebbero essere contenuti in un unico quadro organico di sostenibilità nella sua accezione completa, di libertà e di democrazia, di pace.
Nello scorso giugno è stato presentato un manifesto lanciato da un gruppo di esperti di Next, a cui ha partecipato lo stesso Sachs, per una renaissanrce in economics, una nuova economia che sta emergendo progressivamente per dare risposta a queste sfide. Una economia che, come dice il manifesto, deve abbracciare una visione multidimensionale, quindi in contrapposizione con l’emergente posizione geopolitica, che sia capace di andare oltre il riduzionismo del profitto fine a se stesso e per far questo impone un approccio relazionale e di cooperazione. Inutile sottolineare che questa posizione mal si adatta allo scenario prima descritto, e proprio per questo ne rappresenta l’unica via di uscita.
Massimizzare le funzioni del potere, attraverso uno stato nello stato, il deep state, non può reggere al confronto con un approccio complessivo, olistico che tenga conto di tutto, dall’integrazione delle competenze alla valutazione dei benefici diversi da quelli economici. E non può essere certo solo la fine del deep state l’unica soluzione a questa situazione, soprattutto se esiste un negazionismo imperiale come quello dichiarato da Trump, nuovo presidente Usa. Perché Trump vuole scardinare il deep state, che comunque rappresenta un contrappeso importante al suo negazionismo, con risultati ancora più drammatici. L’attenzione verso l’impatto sociale ed ambientale ed il tentativo di andare oltre la neutralità e l’isolamento, per troppo tempo imposte dalle torri d’avorio delle specializzazioni scollegate tra loro, saranno difficili da realizzare in questo clima così come acquistare un carattere transdisciplinare come la sostenibilità moderna impone.
Quel manifesto del rinascimento economico ha gettato le condizioni di base per un cambiamento, ma non basta, così come non basta la fine dello stato nello stato; occorre più coraggio verso una politica economica che tenga conto del bene comune, del valore del capitale umano e naturale e consideri efficienze e produttività non solo in funzione del consumo di risorse.
*Prorettore per la Sostenibilità, Sapienza Università di Roma
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