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La famosa invasione

La famosa invasione"La famosa invasione degli orsi in Sicilia"

Cannes 72 Intervista a Lorenzo Mattotti in concorso a "Un Certain regard"

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 25 maggio 2019

Per la prima volta Cannes presenta in concorso, nella sezione ‘Un certain regard’, un film d’animazione italiano. Che film. Che animazione. E che italiano.

In concorso in prima mondiale, nella Salle Debussy – al mattino, versione italiana (con le voci di Toni Servillo, Antonio Albanese, Beppe Chierici, Corrado Guzzanti e – ‘cameo’ – Andrea Camilleri), la sera proiezione ufficiale in francese  (tra le voci, Jean-Claude Carrière) –, La famosa invasione degli orsi in Sicilia, che Lorenzo Mattotti ha tratto dal racconto di Dino Buzzati.

Già dagli estratti gustati in anteprima al Forum Movie di Bordeaux e, soprattutto, a Parigi, alla Maison de la Poésie, alla master class dell’artista condotta per ‘Italissimo’ da Fabio Gambaro, direttore dell’Institut Culturel Italien (che dal 24 settembre ne esporrà gli originali), si poteva prevedere che il cartoon – 6 anni di lavoro – sarebbe stato un evento al 72° Cannes : e, chissà, il trionfatore dei prossimi Prix Lumières, dove Michel Ocelot e Mattotti, premiato e premiatore della passata edizione, potrebbero scambiarsi i ruoli.

Artista tra i più amati e inseguiti, dalla Francia (dove s’è stabilito vent’anni fa, creandovi album infiniti e seducenti affiches dei Festival di Annecy e di Cannes) agli Usa (le sue vignette sul New Yorker), Mattotti, 65 anni raccolti in una giovanile frangetta, autobiografica eredità di Spartaco, sua prima creatura a fumetti, è attivo nel cinema d’animazione dal 1999 : Eugénio di Jean-Jacques Prunier, dal suo album con Marianne Cockenpot, Pinocchio (volume stupendo, poi clip magnifica del 2.000, premiata a Annecy, e film, mediocre, di D’Alò nel 2013), i cartoons-staffetta nel multiplo Eros di Antonioni-Wong Kar-wai-Soderbergh, e l’episodio, tra i migliori, del collettivo Peur(s) du noir del 2007.

Buzzati, eclettico giornalista-scrittore-pittore-librettista, scomparso nel 1972 a 66 anni, è uno dei nostri autori più immaginosi : sodale, con Ionesco, di Luciano Chailly, di cui ha condiviso la creatività operistica (evocata in prossime mostre per il centenario del mucicista dalle figlie Floriana e Cecilia), autore dell’esistenzialistico Il deserto dei Tartari (portato sullo schermo nel ’76 da Zurlini) e dell’anomalo Poema a fumetti, il Kafka italiano, com’è stato definito, ha scritto e illustrato nel ’45 il racconto da cui Mattotti ha ora tratto il film, distribuito in Italia dalla Bim dopo l’uscita in Francia il 9 ottobre prossimo per Pathé.

Com’è nato l’incontro Mattotti-Buzzati ?

È un racconto che ho scoperto non da bambino ma già adulto : e ne son rimasto incantato, pensando spesso di farlo mio. Dopo Peur(s) du noir, la produtrice mi ha chiesto se avevo l’idea d’un lungometraggio da realizzare : le ho mostrato il libro di Buzzati. Colpo di fulmine. La trama è semplicissima. Per ritrovare il figlio perduto e sopravvivere ai rigori dell’inverno,  il Re degli orsi conduce il suo popolo dalle montagne alla pianura, abitata dagli uomini. Ritrovato il figlio, orsi e uomini iniziano a vivere insieme : e, via via, gli orsi si ‘umanificano’, cioè si degradano : anche il figlio si metamorfizza.

La trama è fantastica, ma dietro il libro c’è l’Italia del dopoguerra.

È stato  scritto nel ’45, quando gli italiani sono in cerca di identità. Ma è una storia che torna di grande attualità : il flusso di migranti, le nuove contaminazioni … Lo vedo io stesso nella mia famiglia : mia figlia e mio figlio, li ho visti crescere e via via modificarsi, nei comportamenti, nel linguaggio. Adesso mi si rivolgono in francese. Le loro ‘radici’ si sono trasformate : non  sono più solo italiane.

Fino a che punto il film è fedele al libro ?

Quella di Buzzati è una Sicilia fantastica, inesistente, irta d’alte montagne : lui ha vissuto tra Milano e Belluno, le Dolomiti sono il suo mondo visivo. Immaginazione lunare che ho mantenuto. Il cartoon è fedele, rispettoso dell’originale. Non avrei ottenuto altrimenti i diritti dalla vedova, Almerina, per la quale i disegni sono solo quelli di Buzzati. Le mie invenzioni figurative sono in stretto rapporto con disegni e schizzi dell’autore, dal Drago marino alla Tigre-gatto gigante, ai fantasmi, che ho tenuto ma facendone propaggini gommose, di caucciù.

Quali sono le principali modifiche ?

Mi sono accorto che non c’erano personaggi femminili. Quote rosa, zero. Ho perciò aggiunto il personaggio del cantastorie (che fa da presentatore e è radicato nella tradizione siciliana), con la ragazzina (sua figlia ? raccolta per strada?), un po’ la Giulietta di Zampanò, che poi crescerà. Ho dovuto lavorare parecchio anche sui personaggi creati da Buzzati. Il racconto è stato pubblicato a puntate settimanali sul Corriere dei Piccoli : a volte, Buzzati abbozzava un personaggio che gli serviva in quella puntata, ma poi lo buttava via e non lo riprendeva più. Alcuni degli ‘scartati’, però, sono importanti : mio problema è stato di recuperarli e dar loro uno sviluppo drammatico.

Il film inaugura una via italiana al cartoon ?

Mi sono staccato dagli stereotipi del ‘made in Usa’, come dal ‘meraviglioso’ visionario nipponico alla Miyazaki e dai deliri gotici d’un Tim Burton. Mio obiettivo è stato un cartoon mediterraneo : fatto di sole, di paesaggi luminosi come quelli della pittura di Giotto, del Beato Angelico, ma anche di De Chirico, così attento nel suo periodo ‘metafisico’ al rapporto colori-ombre. I miei colori, spesso inattesi, evitano i clichés cromatici dei cartoon tradizionali . Sempre strettamente legati alle ombre : che sono la ‘personalità’ d’un disegno, il suo corpo, il suo mistero.

 

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