Internazionale

La dittatura delle banane

La dittatura delle bananeL’avvocato Jonathan Reiter illustra i crimini dei paramilitari colombiani pagati da Chiquita – Getty Images

Storica sentenza in Florida «Finanziò i paramilitari colombiani per proteggere i suoi interessi», Chiquita ora dovrà risarcire i parenti delle vittime. A quasi cent’anni dal "Masacre de los bananeras" prosegue la tradizione tossica delle piantagioni controllate dal colosso Usa in America Latina

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 13 giugno 2024

Era il 5 dicembre del 1928 quando, nella città colombiana di Cienaga Magdalena, decine (o centinaia) di operai delle piantagioni di banane della United Fruit Company, insieme alle loro famiglie, venivano massacrati dall’esercito dietro pressione dell’impresa statunitense, spalleggiata da Washington.

SCONTAVANO una grossa colpa: quella di portare avanti da giorni uno sciopero per ottenere migliori condizioni di lavoro. «Comunisti», li etichettavano i rappresentanti in Colombia della United Fruit, come all’epoca si chiamava quella che, a partire dal 1990, sarebbe diventata la Chiquita Brands.

Così, di fronte alla minaccia di Washington di inviare i marines se il governo colombiano non avesse provveduto a difendere gli interessi della compagnia, il presidente Miguel Méndez aveva obbedito. Il generale Cortés Vargas, che aveva dato l’ordine di sparare sulla folla, avrebbe parlato di 47 morti. Ma, secondo altre stime, le vittime sarebbero arrivate a 2.000.

L’EPISODIO è passato alla storia come «Masacre de las Bananeras» e a raccontarlo è anche Gabriel García Márquez nel suo romanzo Cent’anni di solitudine, dove il mite José Arcadio Secondo, diventato uno dei sindacalisti più in vista di Macondo, sopravvive lui solo alla carneficina di braccianti in lotta contro la Compagnia di Mr. Brown (risvegliatosi nel vagone ferroviario in cui erano stati raccolti i cadaveri e gettatosi dal convoglio in corsa, proverà a raccontare della strage, ma nessuno gli darà credito).

Ma questa è solo una delle pagine della storia di sangue della Chiquita Brands: molto altro è stato scritto tra il massacro del 1928 e la sentenza con cui lunedì, dopo 17 anni di contenzioso, la giuria convocata da un tribunale federale della Florida ha ritenuto l’azienda responsabile del finanziamento delle Forze di Autodifesa Unite della Colombia (Auc), imponendo un risarcimento di 38,3 milioni di dollari ai parenti di un primo gruppo di otto vittime dell’organizzazione paramilitare. Se, insomma, le sue banane sono «dieci e lode», alla Chiquita lo zero in condotta non lo toglie nessuno.

TUTTO ERA COMINCIATO nel 1870, quando il capitano Lorenzo Dow Baker aveva acquistato 160 caschi di banane in Giamaica e le aveva rivendute a Jersey City a 2 dollari al casco. Sessant’anni dopo, la United Fruit Company aveva già una flotta di 95 navi, mentre avrebbe dovuto attendere fino al 1963 per apporre sulle sue banane il celebre Bollino Blu, il suo marchio di fabbrica, a garanzia dei più elevati standard di qualità.

Sulle piantagioni, tuttavia, si scriveva tutta un’altra storia, e non solo in Colombia, dove la compagnia era approdata nel 1899 e da cui se ne sarebbe andata nel 2004, in tempo comunque per versare per sette anni un milione e 700mila dollari – tre centesimi di dollaro per ogni cassa di banane – ai paramilitari delle Auc, l’organizzazione fondata negli anni ’80 da Salvatore Mancuso (oggi nominato dal governo Petro «gestore di pace»), allo scopo di proteggere i proprietari terrieri dalle azioni della guerriglia.

Al lavoro in un bananeto a Aracataca nel 2006 (Getty Images)

Che il pagamento sia stato effettuato, lo ha ammesso anche l’azienda nel 2007, ma con una motivazione a cui nessuno ha creduto: lo abbiamo fatto, ha detto, per salvaguardare i nostri lavoratori da rapine e furti. Un’estorsione, insomma. Peccato però che la compagnia non l’abbia mai denunciato e che quei lavoratori finissero ammazzati proprio dai paramilitari che sarebbero stati pagati per proteggerli.

QUEI SOLDI, IN REALTÀ, servivano a ben altro, e cioè a difendere gli interessi della compagnia, minacciati dalla guerriglia e dalle lotte dei lavoratori. E c’è anche altro: secondo la Commissione per la Verità, la Chiquita poneva anche la sua infrastruttura al servizio dei paramilitari, nascondendo la loro droga nei suoi container.

Se la sentenza di lunedì è storica – «per la prima volta una giuria ha ritenuto un’impresa statunitense responsabile di complicità nella violazione dei diritti umani in un altro paese», ha dichiarato Earth Rights International -, in Colombia la giustizia appare però ancora un miraggio: se già nel 2019 la Procura generale aveva confermato l’accusa di associazione per delinquere contro dieci alti funzionari della filiale colombiana, il processo da allora non è avanzato di un passo. «Perché – ha commentato il presidente Petro – la giustizia Usa ha potuto concludere che Chiquita Brands ha finanziato il paramilitarismo a Urabá e la giustizia colombiana non l’ha ancora fatto?».

Ma anche al di fuori della Colombia, dietro il famoso Bollino Blu si nascondono orrori. Dal Costa Rica al Nicaragua, per i braccianti della Chiquita le sue banane dieci e lode hanno significato infatti, prima di tutto, repressione sindacale e intossicazione da pesticidi.

COSÌ SCRIVEVANO i sindacati bananieri del Costa Rica in occasione del centenario della compagnia, nel 1999: «Chiquita Brands viola la libertà sindacale e perseguita i lavoratori e le lavoratrici che si iscrivono al sindacato. Paga salari bassi, ricorre al subappalto per non garantire la stabilità ai braccianti. All’ingresso delle piantagioni ha installato dei cancelli automatici e ha posto delle guardie private per controllare i lavoratori. Chiquita continua a contaminare i fiumi, i canali e i boschi che si trovano nella sua area di produzione. E a irrorare sostanze chimiche altamente tossiche e dannose per la salute degli esseri umani e dell’ambiente».

La stessa compagnia che già nel 1992 si era vantata di sperimentare per prima la certificazione Rainforest Alliance sullo svolgimento di attività di produzione agricola nel rispetto di diversi criteri sociali e ambientali. «Dietro al marchio Chiquita non c’è solo la migliore banana, ma tanto rispetto per l’ambiente e iniziative in favore di sostenibilità e biodiversità», assicura del resto l’azienda sul suo sito.

QUELLO DI CUI certo non parla è il suo ruolo nella crociata contro il comunismo scatenata in America latina già negli anni ‘50, come indica alla perfezione la sua partecipazione in Guatemala, nel 1954, al golpe contro il presidente Jacobo Arbenz, colpevole di voler confiscare molte delle terre della compagnia per distribuirle ai contadini senza terra. Un’imperdonabile minaccia ai valori della democrazia a stelle e strisce. E sette anni più tardi, nel 1961, l’allora United Fruit avrebbe messo le proprie imbarcazioni a disposizione dei controrivoluzionari cubani coinvolti dalla Cia nell’invasione della Baia dei Porci.

Del resto, il potere della Chiquita nella regione è stato così forte da dar vita addirittura a una particolare forma di governo, quella delle Repubbliche delle banane.

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