La diseguaglianza si combatte migrando
Report L’ultimo rapporto Fao studia le relazioni tra migrazioni, sicurezza alimentare e crescita economica. Dice che solo riconoscendo il diritto a migrare si può «aiutarli a casa loro»
Report L’ultimo rapporto Fao studia le relazioni tra migrazioni, sicurezza alimentare e crescita economica. Dice che solo riconoscendo il diritto a migrare si può «aiutarli a casa loro»
La Terra gira. Nel senso che siamo tutti – o quasi – un po’ sfollati, un po’ migranti. Dei trentuno Paesi analizzati nell’arco quasi di un trentennio nell’ultimo rapporto della Fao, di pochi giorni fa, più del cinquanta per cento delle popolazioni hanno dovuto, o voluto, abbandonare le proprie case – la casa dove si è nati e si è trascorsa la propria infanzia – per andare altrove almeno una volta nella vita, anche solo per istruirsi o per un lavoro stagionale. Solo dai Paesi in via di sviluppo si parla di 1,3 miliardi di persone in spostamento. D’altra parte anche all’interno dell’Unione europea alla fine del 2016 i migranti interni erano 20,4 milioni. Questo movimento comporta costi sociali ma anche benefici, considerando che, come ha ricordato il segretario generale dell’Onu António Guterres, «c’è uno stretto legame tra migrazioni e lotta alla povertà e alle diseguaglianze, incluse quelle tra uomo e donna». Nel rapporto Fao si precisa: «La ripartizione molto ineguale delle opportunità nel mondo guida le migrazioni interne e internazionali».
È RIDUTTIVO parlare di «migrante economico», tutti lo sono ma le motivazioni sono sempre un mix: la Fao preferisce parlare solo di «migranti in interni» e «migranti internazionali». Anche visto che nove rifugiati su dieci provengono da Paesi poveri e per lo più da aree rurali, non è solo a causa di un aumento della frequenza di eventi naturali catastrofici come siccità e alluvioni che si spostano. Lo spostamento delle persone, in via temporanea o permanente, da un’area agricola a una non agricola è spesso motivata dalla ricerca di un mercato del lavoro con salari «supposti» più alti, si dice. E anche dalla ricerca di servizi pubblici «più numerosi e di più alta qualità, specialmente per quanto riguarda la sanità e l’istruzione».
C’È POI UN FLUSSO DI RITORNO, sia di rimesse alle famiglie sia di conoscenze, che modifica in meglio le realtà di destinazione, specialmente se rurali, portando ad esempio magazzini, frigoriferi, conoscenze tecnologiche e una migliore programmazione della semina.
Per capire cosa muove le persone e come si modificano i flussi, bisogna in sostanza superare la teoria classica basata sulla codifica di push and pull factor, fattori di attrazione e di repulsione, elaborata da Everett Lee nel lontano 1966 su cui poggiano le visioni dei flussi migratori come qualcosa di sostanzialmente negativo e arrestabile – e che ancora ispira i rapporti di Frontex ndr – ammettendo invece una circolarità delle dinamiche migratorie e un mix di fattori d’innesco del flusso, che includono la possibilità di integrazione nell’ambiente sociale, i costi del viaggio, le distanze da percorrere.
IN QUESTI MOVIMENTI circolari si determinano trasformazioni strutturali delle società d’origine, di passaggio e di approdo. C’è da dire che solo una magra porzione del flusso migratorio dal Sud del mondo è diretto in Europa. Dal 1990 al 2015 i migranti internazionali sono aumentati complessivamente da 153 milioni a 248 milioni di persone ma solo il 35% è indirizzato verso i Paesi più sviluppati, mentre il 38% si è diretto in altri Paesi in via di sviluppo – la cosiddetta «migrazione Sud-Sud» – mentre la stragrande maggioranza si è spostata da una regione all’altra del proprio Paese. Dallo studio Fao emerge però una stretta correlazione tra le migrazioni interne e quelle internazionali: è più facile che chi ha già fatto le valigie una volta per spostarsi all’interno del proprio Paese, magari a causa di un terremoto o dello scoppio di un conflitto armato regionale – i conflitti interni sono aumentati negli ultimi 10 anni del 125% mentre quelli tra Stati “solo” del 60% e due su cinque proseguono per almeno vent’anni – decida poi di proseguire oltre confine.
NON SONO I PIÙ POVERI, comunque, abitanti delle zone rurali più depresse, ad andarsene. Al contrario molto spesso sono i giovani più istruiti e dinamici ad essere scelti per incarnare l’investimento di tutta la famiglia d’origine in un viaggio volto a migliorare le capacità di protezione della famiglia stessa dai rischi e in direzione di un miglioramento delle condizioni del gruppo. Perciò, dice la Fao: «La migrazione rurale continua ad essere un elemento essenziale del processo di sviluppo economico e sociale».
LE DINAMICHE FEMMINILI nel fenomeno migratorio colpiscono per la loro particolarità. La componente femminile rappresenta ormai la metà dei flussi migratori internazionali e ad esempio dall’Africa subsahariana è addirittura prevalente tra le ragazzine addirittura pre-quindicenni, prima dello sviluppo. Le donne migranti sono le meno portate a ritornare sui loro passi, e non solo nei Paesi di provenienza in via di sviluppo, anche dagli Stati dell’Europa dell’Est tendenzialmente più patriarcali come l’Albania. Eppure anche quando non partono le donne sono lo stesso il fattore di catalizzazione del cambiamento perché spesso destinatarie delle rimesse con cui, oltre a garantire una vita migliore, una casa più igienica, accesso all’acqua potabile, alla luce, alla scuola ai figli, possono intraprendere piccole attività commerciali per integrare gli scarsi proventi dei campi.
I RIMPATRI FORZATI che piacciono tanto a governanti nostrani sono invece considerati dall’agenzia per l’alimentazione in sostanza alla stregua di un ostacolo, di un impedimento, un costo sociale come le migrazioni forzate. Perché al fine di incentivare i vantaggi della migrazione occorre che sia «libera e responsabile» e che i ritorni siano positivi sia per l’individuo migrante sia per le comunità locali. Solo così il ritorno porterà in dote i frutti di competenze e esperienze del viaggio.
La Fao celebrando la Giornata mondiale dell’alimentazione del 16 ottobre e con la Giornata mondiale di lotta alla povertà del 17 ottobre, ricorda i 17 Sustainable Development Goals per l’Agenda 2030. Tra questi otto riguardano le migrazioni e impegnano i 193 Paesi delle Nazioni Unite – naturalmente Italia inclusa – a «facilitare una ordinata, sicura, regolare e responsabile mobilità delle persone».
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