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La discontinuità, tra teorie politiche e pratiche elettorali

«La ricerca unitaria a sinistra procede con imbarazzante difficoltà», cosi qualche mese fa («il manifesto», 28 luglio) Aldo Tortorella prendeva atto di una realtà che da allora non è diventata […]

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 29 settembre 2017

«La ricerca unitaria a sinistra procede con imbarazzante difficoltà», cosi qualche mese fa («il manifesto», 28 luglio) Aldo Tortorella prendeva atto di una realtà che da allora non è diventata certo meno difficile. Tortorella, sulla base della sua lunga esperienza di dirigente di primo piano del Pci, suggeriva un’ipotesi di lavoro capace di coniugare la dimensione strategica di lungo periodo della costruzione del nuovo soggetto, con le necessità contingenti della prossima prova elettorale.

Si doveva (si deve) introdurre una salutare distinzione tra i partiti, i movimenti impegnati nella suddetta prospettiva e la rappresentanza parlamentare frutto della necessaria ed auspicabile lista unitaria.

Tale distinzione rende possibile salvaguardare l’ampio e diversificato panorama di elaborazioni ed iniziative politiche dei partiti e movimenti, e l’impegno concreto nell’immediato per una rappresentanza istituzionale non ridotta ai minimi termini.

Certo perché tra le due dimensioni vi sia positiva corrispondenza e non un rapporto improntato a deteriore tatticismo, occorre partire da un nodo analitico comune che sia alla base di un «sentimento comune»: la «critica del mondo costruito sotto l’egemonia del capitale finanziario» (ibidem).

Un’indicazione che rimanda alla necessità di una seria riflessione dell’esperienza sia teorica che politica neoliberista di cui è stata protagonista ai massimi livelli anche quella parte della sinistra che oggi intende tirarsene fuori e contribuire alla costruzione della lista unitaria. Ne va della credibilità dell’operazione.

La credibilità è uno dei pochi atout che ancora ci rimane. Se nella costruzione di un nuovo soggetto politico, che, seppur distinto, non può che incrociarsi con il problema della lista unitaria, si perde qualsiasi residuo di credibilità, il processo di ricostruzione di un percorso alternativo non ha nessun futuro. E la credibilità è legata alla chiarezza del progetto declinata con parole di verità. Per ora queste parole non sono venute e l’uso di un termine ambiguo come «discontinuità» non è casuale.

«Interruzione, pausa…» nel tempo e nello spazio, in fisica e in metafora, così recita il «Grande Dizionario della lingua italiana» a proposito di «discontinuità», un termine che non prevede alcuna inversione della direzione rispetto al nocciolo duro della teoria economica.

Dice Bersani oggi: «Noi non siamo la sinistra settaria, non siamo la Cosa Rossa. Se c’è un centrosinistra pulito, senza Alfano (…) noi ci sediamo al tavolo (…). Siamo gente di governo non ci aspettiamo ora e subito la correzione degli errori degli ultimi anni» (La Stampa, 23 settembre).Ancora il « Grande dizionario…»: errore: «Difetto, imperfezione, inconveniente», cioè nella lettura della «discontinuità», smagliatura su una tela compatta, scarto da un percorso sostanzialmente adeguato. Per noi oggi il «nuovo» consiste nella ricerca e nell’impegno di costruzione di tutte le forme possibili dell’antitesi a quella «nuova» ragione. Non è facile un impegno del genere per coloro che quella ragione hanno contribuito a consolidarla, ma il coraggio è qualità fondamentale per un politico vero.

Proprio sul problema specifico del «programma per l’alternativa» si è svolto a Roma in Campidoglio un convegno di alto livello. Un quadro articolato, ma solidamente fondato sul piano teorico e assai concreto su quello propositivo.

Analisi economico-storica di medio periodo e realistico programma riformatore, ma tale da rappresentare realmente l’inversione della direzione, non potevano non avere come esito un giudizio senza appello su un trentennio di riformismo rovesciato.

E di fronte alla possibilità che possa ripresentarsi anche «una parziale riproposizione» dei meccanismi del riformismo rovesciato, le conclusioni sono state chiare : «Una politica riformista non può che assumere una posizione di intransigente rifiuto, in blocco» (Paggi). Questo il nodo della «discontinuità». C’è chi invece si appassiona ai giochi di ruolo tra Bersani e Pisapia.

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