La diplomazia segreta scrive le nuove alleanze in Medio Oriente
Medio Oriente Si rafforza l'alleanza dietro le quinte tra Israele e Arabia saudita. Nei giorni scorsi un principe saudita, forse l'erede al trono Mohammed bin Salman, avrebbe segretamente visitato lo Stato ebraico. Profumo d'intesa anche tra gli ex nemici Hamas ed Egitto.
Medio Oriente Si rafforza l'alleanza dietro le quinte tra Israele e Arabia saudita. Nei giorni scorsi un principe saudita, forse l'erede al trono Mohammed bin Salman, avrebbe segretamente visitato lo Stato ebraico. Profumo d'intesa anche tra gli ex nemici Hamas ed Egitto.
In Medio oriente si fanno due i tipi di diplomazia. Una alla luce del sole e un’altra dietro le quinte. Nulla di nuovo in effetti ma non è mai stato tanto evidente come in questo momento in cui si apprende di Paesi nemici a parole e alleati negli stessi obiettivi. Il caso di Israele e Arabia saudita fa scuola.
Un paio di giorni fa è girata la notizia che l’erede al trono saudita, il potente principe Mohammed bin Salman, avrebbe visitato Israele in segreto per discutere di strategie comuni in Siria e nei confronti del “nemico” Iran. A riferire per primo l’indiscrezione, mai confermata ufficialmente, è stato Simon Aran di Radio Israele. Aran non è andato oltre un non meglio precisato «principe saudita è giunto in Israele» mentre i media arabi hanno chiamato in causa proprio Mohammed bin Salman. Immediata è partita la condanna della visita da parte dei giornali legati al Qatar, pronti ad inserire l’indiscrezione nella crisi lacerante, cominciata tre mesi fa, tra Doha e Riyadh. Dall’Arabia saudita ha replicato il giornale Elaph che ha smentito tutto aggiungendo che, in realtà, è stato un principe qatariota e non saudita a trascorrere due giorni a Tel Aviv.
Comunque sia andata, la settimana scorsa il premier israeliano Netanyahu non ha certo sottolineato senza motivo che i rapporti attuali con gli Stati arabi «sono i migliori di sempre nella storia di Israele» anche senza la pace con i palestinesi. «Ciò che sta accadendo con loro – ha detto Netanyahu durante una riunione al ministero degli esteri – non è mai avvenuto neppure quando abbiamo firmato accordi. C’è cooperazione in vari modi e a vari livelli, anche se ancora tutto non è palese». Da parte sua Aran ha ricordato che quasi venti anni fa «c’erano rappresentanti arabi in Israele, tra cui l’ambasciatore della Mauritania e rappresentanti del Qatar, della Tunisia, del Marocco e dell’Oman» e che «un diplomatico israeliano era stato inviato a Doha». Ma quella era la «pace di Oslo» in cui israeliani e palestinesi negoziavano un accordo “finale”, che non è mai arrivato, mentre oggi il governo più a destra della storia di Israele raccoglie a piene mani consensi da Paesi arabi con i quali tecnicamente sarebbe ancora «in guerra».
In questo vortice in cui i nemici di un tempo ora si scoprono alleati, si sviluppa il rapporto tra il movimento islamico Hamas e il regime egiziano di Abdel Fattah el Sisi. Il Cairo è in guerra con i Fratelli musulmani, denunciati come una «organizzazione terroristica». E «terroristi» per gli egiziani fino a qualche tempo fa erano pure i Fratelli musulmani in Palestina, ossia Hamas, accusato di contribuire alla destabilizzazione del Sinai, mantenendo rapporti «ambigui» con le cellule armate filo-Isis che operano nella penisola. Con una svolta a 180 gradi el Sisi ora intavola trattative con Hamas che, da parte sua, ha spedito al Cairo il suo leader Ismail Haniyeh e gran parte della sua direzione politica per continuare il dialogo. La ragione dietro questa svolta sarebbe la necessità per il Cairo di cooptare Hamas nella «lotta al terrorismo» e di migliorare le condizioni di vita a Gaza. In realtà gli egiziani puntano a scaricare il presidente dell’Anp, Abu Mazen, “ostacolo” per la realizzazione di un piano volto a portare al comando il loro uomo, il “reietto” Mohammed Dahlan, con l’appoggio di un Hamas addomesticato e pronto a cooperare alla sicurezza del Sinai.
Sebbene si svolga alla luce del sole invece non riceve sempre la dovuta attenzione la diplomazia russa che pure si sta confermando il perno sul quale ruotano le soluzioni per i focolai di crisi in Medio Oriente. La visita del ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, domenica scorsa a Gedda e il suo viaggio due giorni fa ad Amman – a poche settimane dal precedente tour in Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar – hanno rafforzato ulteriormente la posizione di Mosca nella regione. Lavrov in Arabia saudita ha affrontato il tema delle “zone di sicurezza” in Siria, frutto dell’accordo tra Mosca, Ankara e Teheran sottoscritto a maggio ad Astana, precisando che le aree «non saranno utilizzate per dividere il paese in enclavi». Poi ha sottolineato che la Russia «sostiene attivamente» gli sforzi dell’Arabia Saudita di riunire i gruppi siriani di opposizione per rendere «più efficaci i colloqui» con i rappresentanti del governo di Damasco. Da parte sua il ministro degli esteri saudita Adel al Jubeir ha espresso soddisfazione per la posizione russa “neutrale” sullo Yemen. E ieri a Mosca c’era il primo ministro libanese e alleato degli Usa Saad Hariri.
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