Nel post che l’ideologo nazionalista Alexandr Dugin ha prima pubblicato e poi sembra aver rimosso, lasciandone ovviamente traccia indelebile, c’è un esplicito attacco a Putin a causa della ritirata dell’esercito russo dalla città ucraina di Kherson.

Ovviamente colpisce molto l’assai dura presa di distanza dal capo finora indiscusso del Cremlino da parte d’uno dei più ascoltati tra i suoi consiglieri.

COLPISCE però soprattutto la logica dell’autocrazia che Dugin interpreta senza mezzi termini come un baratto tra il popolo e il suo capo: quest’ultimo ha «pieni poteri in caso di successo, ma anche totalità delle responsabilità in caso di fallimento».

Perciò, quando le cose vanno bene, si può anche sopportare che si faccia circondare da gentaglia e violi la giustizia sociale, ma se «i russi piangono e soffrono» per l’umiliazione e la paura della sconfitta, il sovrano deve pagare.

«Se non ci salva, il suo destino è quello del Re della pioggia»: questa l’implacabile conclusione di Dugin, che qui si riferisce a un’usanza arcaica o selvaggia, un tempo si sarebbe detto «primitiva», di cui parla Il ramo d’oro di James Frazer. Alcune tribù dell’alto Nilo, che vivevano in un deserto arido, non avevano re, ma trattavano con tutti gli onori quello tra loro che ritenevano capace di mandare la pioggia al momento opportuno. Se però la siccità continuava, lo avrebbero squartato senza pietà.

L’indagine antropologico-sociale di Frazer è un viaggio fantastico alla ricerca di costanti mitologiche, magiche e rituali che costellano la vita umana in diverse epoche storiche e in diversi contesti geografici. Al di là delle tante critiche che le sono state rivolte, prima fra tutte quella di Wittgenstein, si tratta d’un grande affresco culturale in cui l’origine del potere dalla lotta omicida appare sacra e irriformabile.

IL LIBRO incomincia esattamente con l’immagine mitologica di un capo che è al tempo stesso un sacerdote e un assassino. Il carattere sacrale e assoluto del suo potere sarà mantenuto fin quando qualcuno di più potente di lui lo ucciderà e ne prenderà il posto. E da questo circolo non si esce.

Il riferimento a Frazer è una spia interessante d’un movimento ricorrente tra i conservatori: quello di proiettare sullo schermo dell’originario modelli di comportamento e desideri che caratterizzano la vita odierna. Infatti, il contenuto di senso che emerge dai racconti mitologici è lo sdoganamento della legge del più forte, in quanto costante invariabile della natura.

Ne consegue una visione delle società umane e delle differenti elaborazioni culturali che la caratterizzano come pura e semplice prosecuzione della natura. Poiché in natura pesce grande mangia pesce piccolo, la logica della vita sociale e civile non potrebbe in nessun modo distaccarsi efficacemente dal circolo della violenza.

ALLA BASE di questa visione magico-mitologica del potere e della sua intoccabilità, sia pure provvisoria, cioè fin quando esso è sostenuto dal successo, c’è, come ha scritto Frazer, «la fede, implicita ma reale e incrollabile, nell’ordine e nell’uniformità della natura». Questa fede costituisce una sorta di collante culturale che sostiene la magia e che, se applicata alla politica, inchioda la società alla ripetizione della violenza originaria.

Ecco forse il significato della rimozione del post da parte di Dugin. Il disvelamento del baratto tra concessione dei pieni poteri e responsabilità totale in caso di fallimento è il vero significato della democrazia illiberale. Ma questo si può dire solo a mezza voce.

* professore di filosofia del diritto, Università di Napoli- Federico II