«La cucina vegana è magica per tutti»
Intervista Incontro con Annalisa Chessa, la «sacerdotessa punk» della cucina vegetariana tra i protagonisti del festival Sphera: «Creiamo nuove ricette più etiche»
Intervista Incontro con Annalisa Chessa, la «sacerdotessa punk» della cucina vegetariana tra i protagonisti del festival Sphera: «Creiamo nuove ricette più etiche»
Sacerdotessa punk» della cucina vegetale e sostenitrice di uno stile di vita «cruelty free», Annalisa Chessa, sarda di nascita, bolognese di adozione, è fra le protagoniste di Sphera, evento crocevia fra arte, cultura, scienza e natura, che dedica ampio spazio al tema della eno-gastronomia etica. Il suo messaggio è che si può vivere e mangiare bene anche senza sfruttare altri animali. Dai suoi profili social, dove appare con il suo alter ego stregonesco Little Vegan Witch, racconta una visione della cucina vegetale e dello stile di vita vegano diverso dall’immaginario comune.
Annalisa Chessa, bisogna essere stregoni per essere vegani e felici?
In realtà no, l’alimentazione vegetale è talmente semplice perché se ci pensiamo gli ingredienti sono cereali, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, semi oleosi, quindi sono materie prime che conosciamo perfettamente; il mio nome deriva dal fatto che la figura della strega mi ha sempre affascinato e l’ho voluto abbinare alla cucina vegetale perché in passato quando non si comprendeva qualcosa di una donna la si accusava di stregoneria: si mandavano al rogo queste figure femminili che risultavano sospette anche per la relazione che avevano con la natura; il chiamarmi piccola strega vegana quindi è una piccola provocazione in relazione a questo, dopodiché per diventare vegani non serve la magia ma solo un po’ di consapevolezza.
Come si è originato questo connubio fra amore e rispetto per la natura non umana e passione per la buona cucina?
Sono diventata vegana 8 anni fa, nella primavera del 2016, semplicemente perché avevo cominciato a informarmi per mezzo di inchieste condotte da attivisti sotto copertura che si fingevano lavoratori dentro gli allevamenti intensivi e che svelavano le condizioni in cui venivano tenuti gi animali; inchieste che sono state condotte anche in allevamenti italiani legati a prodotti che sono considerati eccellenze, come il prosciutto di Parma o il Parmigiano, prodotti che io stessa prima mangiavo: sono cascata dalle nuvole, sapevo quello che succedeva nei macelli ma non avevo idea del sistema della zootecnia; non immaginavo che tutto ciò fosse sistematico, ovvero che la maggior parte dei prodotti che consumiamo, che troviamo al supermercato, proviene da questo tipo di allevamenti, un sistema alimentare crudele e fuori controllo che è diventato la normalità; inoltre, in aggiunta alla questione del maltrattamento, c’è il tema della salute umana, perché a questi animali vengono dati moltissimi farmaci che poi ritroviamo nel cibo da noi consumato; non ultimo il tema del fortissimo impatto ambientale di questo tipo di produzione, il fatto che sia una delle attività umane più nocive per il clima, il quantitativo di emissioni di gas serra prodotte supera anche quello dei trasporti: sono rimasta scioccata da tutte queste cose insieme. La mia oltre che una scelta etica è anche una scelta d’amore verso la specie umana che, ce lo sta dicendo la scienza, si avvia verso la catastrofe; è necessario intervenire, cambiare rotta, e l’alimentazione è un campo di intervento, penso che dovremmo tornare al modello di alimentazione che avevamo negli anni cinquanta, quello dei nostri nonni, quando non c’era tutto questo consumo di carne e suoi derivati, ma alla base dell’alimentazione c’erano le proteine vegetali.
Come è diventata «influencer» culinaria? La cucina era una passione anche prima?
Una volta fatta la mia scelta, in seguito è arrivata la pandemia e il lockdown. Avevo molto tempo a disposizione e quindi ho deciso di provare a sensibilizzare più persone di quelle che riuscivo a raggiungere nella mia vita e il modo più semplice sono stati i social. Ho iniziato quasi per gioco, realizzando il video della preparazione di un ragù vegetale, ho aperto una canale youtube, un profilo Instagram e poi Tik Tok, e lì si è creata la figura di Little Vegan Witch e la community che c’è ora. Prima cucinavo bene ma poche cose, avevo dei piatti preferiti e mi impegnavo a farlo, quelli che ho imparato a conoscere assieme a mia madre, e poi nella vita di tutti giorni mangiavo molti cibi pronti; non avevo un’educazione alimentare mentre diventando vegana me la sono costruita, adesso so come ci si alimenta correttamente, prima no. In questo modo è nata anche una maggiore passione e dedizione alla cucina, quando sono diventata vegana non c’era ancora la disponibilità e varietà di prodotti che c’è adesso, e ho dovuto anche rispondere alla necessità di riprodurre in versione vegetale ricette che mi piacevano da onnivora. Posso dire che mi si è aperto un mondo perché ero io la prima a pensare che mi stavo in qualche modo limitando, mentre invece ho scoperto nuovi odori, nuovi sapori, quindi anziché una rinuncia è stata una conquista.
L’assenza di educazione alimentare è un fatto comune nella società contemporanea, lei come se l’è creata e quali consigli darebbe a chi vuole passare a una alimentazione completamente vegetale?
Io ho iniziato leggendo libri di alimentazione vegetale scritti da nutrizionisti e poi rivolgendomi a uno specialista della nutrizione, che mi ha insegnato come si compone una piatto bilanciato dal punto di vista nutritivo. Non è stato un percorso lungo, ci sono andata solo per avere basi solide su cui lavorare. Consiglio di leggere libri, cercare ingredienti e ricette semplici per cominciare senza scoraggiarsi e per farsi ispirare, in rete si trova di tutto, e poi consultare un nutrizionista, la consapevolezza è importante.
«Cucina vegetale che spacca» è il titolo del suo primo libro: quali sono gli ingredienti vincenti?
Per me la cucina «che spacca» è un qualcosa di godurioso, che riesce a coinvolgere tutti i sensi, che ti trasporta nello spazio, in un altro luogo e anche che ti riporta indietro nel tempo, facendoti rivivere certi momenti: ricordiamo il potere evocativo del cibo; a me piace reinterpretare la cucina tradizionale in chiave vegetale per far capire che mangiare vegano non vuol dire smarrire la tradizione, perdere i propri piatti preferiti, ma semmai creare l’ evoluzione di questa o quella ricetta, che si trasforma in un piatto più etico, più sostenibile e anche più sano.
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