La crociata antiabortista del governo polacco e le sue vittime
Visegrád e oltre La rubrica sui populismi a cura di Massimo Congiu
Visegrád e oltre La rubrica sui populismi a cura di Massimo Congiu
Torniamo indietro di un mese e arriviamo al 25 gennaio scorso, giorno della morte di Agnieszka T., giovane donna polacca di 37 anni deceduta perché le era stato negato l’aborto. Ricostruiamo brevemente la vicenda secondo le informazioni a nostra disposizione: Agnieszka era incinta di due gemelli, aveva portato in grembo un feto morto per circa una settimana Di fatto, la morte del primo feto avrebbe portato al peggioramento delle condizioni di salute della donna e alla morte del secondo. Entrambi i feti sarebbero stati rimossi il 31 dicembre, quando ormai evidentemente era troppo tardi, infatti le condizioni della giovane non sono migliorate, tutt’altro, e il decesso è avvenuto dopo poco più di un mese di ricovero all’ospedale di Częstochowa. L’accusa è che, a causa del divieto di aborto, i medici si sarebbero rifiutati di operare Agnieszka la cui salute era stata deteriorata dalla presenza del feto morto che portava ancora in grembo.
È noto che l’ospedale ha negato ogni responsabilità ma i familiari della donna sostengono che quest’ultima è morta di setticemia e che “l’attuale governo ha le mani insanguinate”. Così la procura di Częstochowa ha aperto un’inchiesta per i reati di “esposizione di un paziente al rischio di perdere la vita” e per omicidio colposo.
Nel settembre precedente un’altra giovane, Isabela Sajbor di 30, moriva all’ospedale di Pszczyna per una gravidanza problematica. La cronaca dice che era stata ricoverata per perdita di liquido amniotico e che i medici, anziché procedere ad una interruzione di gravidanza per evitarle infezioni, avevano deciso di aspettare che il feto, peraltro malformato, morisse spontaneamente. Ciò è poi è avvenuto ma è morta anche la madre per choc settico.
La legge sull’aborto polacca, entrata in vigore poco più di un anno fa, è tra le più restrittive che si conoscano e rende quasi impossibile l’interruzione di gravidanza nel paese. Dopo la morte di Agnieszka la gente è tornata in piazza per protestare contro questa legge voluta dal governo e appoggiata dal clero. Già negli anni scorsi si erano verificate lunghe manifestazioni di protesta nei confronti di tale disposizione. I dimostranti sfilavano in corteo per difendere il diritto delle donne di compiere delle scelte libere in termini di interruzione di gravidanza. Del resto tali agitazioni rappresentavano e rappresentano tuttora qualcosa di più complesso che mette in discussione un modello culturale e sociale, una morale e un sistema politico, in generale.
Le manifestazioni, guidate dalle donne, reclamano una società in cui la Chiesa, la potente Chiesa polacca, non sia più in grado di influenzare così tanto la politica, la vita delle persone, delle famiglie. Si tratta quindi di proteste che chiedono a gran voce la revisione degli equilibri società-Chiesa e Chiesa-vita politica.
Anche quest’anno la piazza ha quindi protestato contro la legge sull’aborto, ulteriormente motivata dalla tragica fine di Agnieszka. Le donne polacche respingono questo stato di cose, respingono il sistema che le vede subire decisioni che passano sul loro corpo e che possono costare loro la vita.
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