Cultura

La crisi del Covid, occasione persa per cambiare il mondo

La crisi del Covid, occasione persa per cambiare il mondoParticolare dalla copertina del libro di Xavier Tapies "La street art ai tempi del coronavirus", pubblicato da L'Ippocampo

L'indagine «Immaginare l’inimmaginabile», di Jaime D’Alessandro, per Bollati Boringhieri. Una riflessione sulla chance perduta per ripensare il modo di lavorare, di spostarsi, di consumare e abitare, in una fase in cui sono state messe in pratica innovazioni a una velocità impensabile nella cosiddetta «normalità» che poi sono state sottoposte a frenate o tentativi di inversione di rotta

Pubblicato circa un anno faEdizione del 10 agosto 2023

C’era una volta il futuro. È accaduto nei giorni e nei mesi del grande lockdown. A quel tempo, al di là della conta delle vittime del Covid, e in parallelo alla ricerca sui vaccini, si è sviluppato un dibattito intenso sull’insostenibilità del modello di sviluppo che ha prodotto l’irruzione sulla scena di una simile pandemia, sugli effetti del confinamento sociale sui legami sociali e sulle modalità del lavoro e della socialità, sul nuovo mondo che sarebbe scaturito una volta sconfitto il virus. Almeno in apparenza, il neoliberismo avrebbe dovuto essere una delle vittime del coronavirus visto che tutti i suoi pilastri, a partire dall’austerità e dalla deregulation, erano stati messi in discussione perfino dai governi che improvvisamente scoprivano le qualità dello stato sociale e della regolamentazione.

IN QUEI GIORNI sembrava che il virus stesse riscrivendo la nostra immaginazione: «ciò che sembrava impossibile è diventato pensabile», come ebbe a scrivere sul New Yorker, lo scrittore di fantascienza Kim Stanley Robinson, inventore di apocalittici scenari futuri, noto soprattutto per la sua trilogia di Marte. «Forse, tra qualche mese – aggiungeva – , torneremo a una qualche versione della vecchia normalità. Ma questa primavera non sarà dimenticata».

Due anni dopo, invece, l’ordine neoliberale è alle prese con quella che viene chiamata la «policrisi», una serie di shock che si alimentano a vicenda, le leggi di bilancio hanno recuperato le logiche feroci di prima del Covid e quella breccia di immaginazione sembra essere stata chiusa.

Tuttavia quel dibattito pubblico in modalità «a distanza», quelle riflessioni di fronte a scenari inediti per l’intero pianeta, hanno il pregio di aprire un focus non banale sul futuro, di sottrarlo a suggestioni apocalittiche e restituirlo alla possibilità di una progettazione partecipata. «Non è mai esistita un’epoca nella quale il futuro ha avuto un tale peso. È diventato un elemento costante del presente, invadendo la quotidianità di miliardi di persone», scrive Jaime D’Alessandro in Immaginare l’inimmaginabile. Cronache dell’anno che avrebbe potuto insegnarci tutto (Bollati Boringhieri, pp. 128, euro 14) un volumetto agile che ha il merito di riprendere e riordinare quel tipo di ragionamenti con la «giusta distanza» dai giorni in cui sono stati elaborati.

Non è affatto un’antologia: D’Alessandro, firma di punta su Repubblica per ciò che riguarda tecnologie, videogame e culture digitali, prova a forzare l’opera di rimozione «tanto veloce quanto profonda» rielaborando dati, articoli e voci raccolte nell’anno più extra-ordinario che i viventi ricordino e in cui sembrava si potesse ripensare il modo di lavorare, di spostarsi, di consumare e abitare, in cui vennero messe in pratica innovazioni a una velocità impensabile nella cosiddetta «normalità» che poi sono state sottoposte a frenate o tentativi di inversione di rotta.

LA BRECCIA OPERATA dal lockdown nelle routine produttive e quotidiane viene letta dall’autore nei termini di un’occasione perduta, di una «crisi sprecata» perché le domande aperte dalla pandemia sono tutt’altro che risolte e vengono riformulate di continuo dall’incalzare della crisi climatica con cui il coronavirus è in stretta connessione.

D’altra parte, già molto prima dell’emergenza sanitaria il neoliberismo ha preso l’abitudine di promettere di superare le proprie crisi attraverso «riforme», digitali o ecologiche, che non sono altro che modalità di disciplinare e sottomettere i ranghi del lavoro, comprimendo salari e diritti mentre si perpetua il saccheggio della natura grazie a operazioni di greenwashing (una perversione dell’inimmaginabile) sempre più raffinate, come dimostra la campagna acquisti delle Sette sorelle tra le fila degli influencer.

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