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La Corte suprema impedisce la scarcerazione di Lula

La Corte suprema impedisce la scarcerazione di LulaSostenitori di Lula ne chiedono il rilascio – Afp

Brasile Le speranze di un rilascio si sono spente: archiviata la richiesta dei legali dell'ex presidente di sospensione della pena. A fronte di un cambio di clima dentro la Corte Suprema, hanno prevalso le pressioni politiche

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 giugno 2018

Erano stati in molti a pensare che la nuova richiesta di scarcerazione dell’ex presidente Lula su cui il Supremo Tribunale Federale avrebbe dovuto decidere il 26 giugno potesse venire accolta. Ma ancora una volta le forze golpiste sono corse ai ripari: il ministro relatore Edson Fachin ha infatti disposto l’archiviazione della richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena presentata dai legali di Lula affinché l’ex presidente potesse attendere in libertà l’esito dei ricorsi depositati presso le istanze superiori contro la sua condanna a 12 anni e un mese per la vicenda del «triplex» di Guarujá.

E lo ha fatto utilizzando come pretesto la decisione del Tribunale Regionale Federale della Quarta Regione (Trf-4) di negare l’ammissibilità del ricorso cosiddetto «straordinario» alla Corte Suprema (relativo all’eventuale violazione di principi costituzionali), dando invece il via libera a quello «speciale» (sulla corretta applicazione delle leggi federali) depositato presso il Superiore Tribunale di Giustizia.

«Il principio della collegialità vale solo a senso unico. Il verme impedisce che i suoi pari esaminino la materia», ha tuonato l’avvocato Wilson Ramos Filho, che del «verme» era stato uno dei migliori amici. Non meno sconcertante il fatto che la decisione del Trf-4 sia arrivata alla vigilia dell’udienza del 26 giugno e poche ore dopo la presentazione alla Corte di un memorandum diretto a mostrare la presenza di tutti i requisiti per l’ammissibilità di entrambi i ricorsi.

Che si sia trattato di una manovra congiunta diretta a scongiurare il pericolo che Lula fosse scarcerato non è sfuggito a nessuno. Tanto più che il pericolo era questa volta assai reale, considerando che tre ministri su cinque della seconda sezione del Stf incaricata di giudicare il nuovo habeas corpus – Ricardo Lewandowski, Dias Toffoli e Gilmar Mendes – si erano già espressi contro l’obbligatorietà dell’arresto dei condannati in secondo grado.

Né erano mancati segnali che potessero far pensare a un certo cambiamento di clima all’interno della Corte Suprema, a cominciare dall’assoluzione, per l’assoluta inconsistenza delle prove a suo carico, della presidente del Pt Gleisi Hoffman, accusata di corruzione esclusivamente sulla base di delações premiadas (il rilascio di informazioni in cambio di uno sconto di pena).

Alla fine, però, le pressioni dirette a impedire la scarcerazione di Lula hanno avuto la meglio. Non a caso, i giornali della famiglia Marinho, O Globo e Valor Econômico, hanno dedicato due intere pagine a un’appassionata difesa del giudice Sérgio Moro da parte del ministro del Stf Luís Roberto Barroso. Il quale si è persino lanciato in un duro attacco ai colleghi della Corte Suprema: «All’interno del Stf – ha dichiarato – esiste una divisione tra quanti sono decisi a spingere in avanti la storia nella convizione che si stia costruendo un nuovo paese e quanti conservano profondi legami con il vecchio ordine. E questi difensori del vecchio ordine hanno alleati ovunque». Più chiaro di così.

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