L’archiviazione per avvenuta prescrizione del reato non si può in alcun modo considerare una condanna. A sottolineare l’ovvio ci ha dovuto pensare la Corte costituzionale, sollecitata dal tribunale di Lecce nella complicata vicenda di una persona che aveva per caso saputo di essere stata sottoposta a indagine e di essere stata archiviata con un provvedimento in cui si sottolineava come le prove sin lì raccolte fossero fondate. L’interessato aveva allora presentato, manifestando inoltre la propria volontà di rinunciare alla prescrizione. Da qui la decisione del tribunale di Lecce di chiamare in causa la Corte, chiedendole di introdurre l’obbligo a carico del pm di avvisare preventivamente la persona sottoposta alle indagini dell’eventuale richiesta di archiviazione per prescrizione del reato nei suoi confronti, in modo da consentirle di rinunciare alla prescrizione e ottenere una pronuncia che riconosca la sua innocenza. La Consulta ha ritenuto infondata la questione, perché, in ogni caso, esprimere apprezzamenti sulla situazione dell’indagato viola «in maniera eclatante» sia il suo diritto alla difesa sia il principio costituzionale della presunzione d’innocenza. In passato, comunque, la Corte aveva già riconosciuto il diritto di un imputato a rinunciare alla prescrizione, ma ora si precisa che questo obbligo non può essere esteso a chi è soltanto sottoposto a indagini preliminari. Il caso di Legge viene inoltre ritenuto «emblematico di una specifica patologia», rappresentata da un provvedimento di archiviazione per prescrizione che presenta la persona sottoposta alle indagini come colpevole, senza averle dato alcuna possibilità di difendersi dalle accuse. In proposito, la Corte ha sottolineato che tanto l’iscrizione nel registro degli indagati, quanto il provvedimento di archiviazione che chiude le indagini, sono provvedimenti concepiti dal legislatore come neutri.