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La Coppa secondo Infantino: lustrini per dimenticare gli abusi

La Coppa secondo Infantino: lustrini per dimenticare gli abusiLa protesta di Amnesty, ieri a Bruxelles, di fronte all’ambasciata del Qatar – Laurie Dieffembacq/ZUMA Press

Qatar 2022 Il boss-censore della Fifa esalta «la migliore edizione di sempre»: «La gente vuole 90 minuti di gioia senza pensare alla politica». La protesta di Amnesty, Hrw e ong nepalesi: ora risarcimenti ai migranti sfruttati 

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022

Il Mondiale secondo Gianni Infantino è come l’Italia secondo Boris: «Un paese di musichette mentre fuori c’è la morte». Si era già intuito nei soliloqui mascherati da conferenze stampa, un mondo bellissimo che non c’è. Non si può dire che la Fifa non ci abbia provato a depoliticizzare i campionati del mondo di calcio, a colpi di censura per non irritare il paese ospitante, talmente ricco da potersi comprare un passato e un presente nuovi di zecca.

IERI IL BOSS della Fifa ha impiegato 45 minuti per dirci che questa è «la migliore edizione di sempre»: «Il calcio è diventato veramente globale come dimostra la prima squadra africana in semifinale. Abbiamo avuto la prima donna arbitra. L’atmosfera è stata gioiosa».

Una narrazione di luci e lustrini che tralascia il divieto per i giocatori di indossare la fascia OneLove a sostegno dei diritti Lgbtqia+ (ammessa solo l’edulcorata e volutamente vaga «No discrimination»), mentre le autorità qatariote si intestavano i controlli «di strada», non sia mai che sugli spalti spuntassero pericolosi sovversivi con i colori dell’arcobaleno (comunque meno grave della persecuzione invisibile dei propri cittadini non eterosessuali).

Infantino la risposta ce l’ha: la gente vuole i lustrini, non la politica. «Noi difendiamo i valori, i diritti umani, ma penso anche che i tifosi che vengono allo stadio e i miliardi di persone che guardano dalla tv vogliono passare 90 minuti senza dover pensare ad altro».

SOPRATTUTTO al fatto che gli spalti dove quei tifosi si sono seduti sono stati costruiti da lavoratori migranti a cui è letteralmente scoppiato il cuore: dal 2010 al 2020 sono almeno 6.751 gli operai da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Sri Lanka, Filippine, Kenya, morti nei cantieri del Mondiale qatariota, secondo un’inchiesta dello scorso anno del Guardian. 675 all’anno, 56 al mese, 1,9 al giorno. Persone tra i 25 e i 35 anni a cui il sistema cardiovascolare è andato in tilt, perché in Qatar si lavora all’aperto con 45 gradi di temperatura.

«Ogni morto è un morto di troppo – ha commentato ieri Infantino – ma noi abbiamo fatto tutto quel che potevamo per prevenire». Qualche pressione sul Qatar perché introducesse misure protettive: vestiti adatti, sospensione del lavoro sotto il sole tra le 11.30 e le 15 da metà giugno ad agosto, l’abolizione ufficiale del sistema semi-schiavista della kafala, il ben poco democratico lascito del mandato coloniale britannico. Ma è cambiato poco. E l’intervento di riparazione è rimasto mera promessa.

A RICORDARLO alla Fifa sono Amnesty International e Human Rights Watch, ma anche la società civile nepalese: un’utopia i risarcimenti alle famiglie delle vittime del lavoro e quelli ai lavoratori tornati a casa senza i già di per sé magri stipendi concordati. Le organizzazioni nepalesi hanno inviato una lettera aperta alla Fifa, mentre a Kathmandu apparivano cartelloni di protesta: 400mila lavoratori in Qatar non hanno mai potuto accedere al fondo che il regno ha istituito nel 2020.

«Devono dimostrare in tribunale che i salari gli sono stati sottratti – si legge nella lettera – ma di fatto non possono accendere al fondo né i lavoratori che non sono più nel paese né chi c’è ancora ma ha paura delle rappresaglie del datore di lavoro o delle autorità. E il fondo non risarcisce le famiglie delle vittime le cui morti non sono riconosciute come legate al lavoro».

Identica la richiesta di Amnesty, mossa di nuovo ieri mentre a Bruxelles issava uno striscione di fronte all’ambasciata di Doha: «No extra time for human rights abuses #PayUpQatar».

La più crudele delle coincidenze la sottolinea Human Rights Watch: «La finale del Mondiale coinciderà con la Giornata internazionale per i diritti dei migranti. Ma se Fifa e Qatar non troveranno un rimedio agli abusi sui migranti, avranno scelto di lasciarsi dietro un’eredità di sfruttamento e vergogna».

C’ERA CHI AVEVA provato a evitarla quella vergogna, il giordano Abdullah Ibhais, ex direttore della comunicazione assunto da Doha per i Mondiali: arrestato nel 2019 per aver denunciato cosa subivano i migranti, nel 2021 è stato condannato a tre anni. Non è uno di quei miliardi di persone che si è goduto 90 minuti di gioia.

Poi venite a dirci che il calcio non è politica. Quello di Infantino lo è, nella sua versione più ignobile.

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