La contesa per il terreno di gioco che può far diventare adulti
Esordi «Dimenticare nostro padre», di Francesco Bolognesi presentato oggi al Festivaletteratura di Mantova. Nell’ironico romanzo di formazione pubblicato da 66thand2nd, dei piccoli calciatori di un paese del ferrarese si misurano con l’arrivo del cricket dei giovani pakistani
Esordi «Dimenticare nostro padre», di Francesco Bolognesi presentato oggi al Festivaletteratura di Mantova. Nell’ironico romanzo di formazione pubblicato da 66thand2nd, dei piccoli calciatori di un paese del ferrarese si misurano con l’arrivo del cricket dei giovani pakistani
È l’estate di tutte le scoperte. Del marcio che minaccia il mondo adorato del pallone, con lo scandalo di «Calciopoli» appena scoppiato, proprio mentre la Nazionale si gioca il mondiale in Germania. Dei primi vaghi tentativi di approccio con le coetanee: baci sbavati ad ogni angolo del paese al termine di improbabili «passeggiate» che qualcuno insegue più per essere al pari con gli altri che in nome di un desiderio ancora sconosciuto.
MA È SOPRATTUTTO il momento dell’incontro con qualcosa di ancor più inedito e sconvolgente: qualcosa che sembra assomigliare per certi versi ai protagonisti, al loro modo di essere e alle loro passioni, ma che al tempo stesso li nega, perlomeno per come si conoscono e sono abituati a guardare al mondo. Così simile e così diverso da tenere insieme curiosità e rifiuto, scoperta e paura.
Perché un bel giorno della calda estate del 2006, un pugno di ragazzini di San Zenone, nel ferrarese, si accorge che il campo spelacchiato, un po’ rialzato rispetto agli argini dei canali e che raggiungono in bicicletta, è occupato da un gruppo rivale di «giocatori» che non tirano calci a un pallone, ma lanciano e cercano di colpire al volo una palla molto più piccola: sono i ragazzi pakistani del luogo che giocano a cricket.
Da questa scoperta che assumerà per ognuno di loro una connotazione diversa, un’intensità e un significato che solo il tempo potrà far emergere fino in fondo, muove Dimenticare nostro padre, l’ironico romanzo di formazione firmato da Francesco Bolognesi, pubblicato nella collana Attese di 66thand2nd (pp. 158, euro 15), già arrivato in finale al Premio Calvino che l’autore presenterà oggi al Festivaletteratura di Mantova insieme e Anna Giurickovic Dato e Marcello Fois: ore 18.30 a Palazzo San Sebastiano.
I protagonisti della vicenda sono poco più che bambini che stanno per affrontare gli esami di terza media ma sembrano muoversi, complice l’atmosfera ovattata della provincia emiliana, in un universo ancor più rassicurante, tra gli affetti domestici, le chiacchiere in dialetto dei vecchi al bar, i timidi tentativi dei genitori di introdurli alla politica, o meglio a quel senso di appartenenza per la sinistra, un tempo caratteristica peculiare dei luoghi e delle anime in quelle zone. Le inquietudini dei ragazzi hanno così quasi del fiabesco, proprio come il loro raccontarsi gli eventi entro un perimetro esperienziale e immaginativo sempre ben delimitato. E per questo decisamente tranquillizzante. Perlomeno fino alla comparsa di una disciplina sconosciuta come il cricket nel loro «stadio» improvvisato su un terreno di campagna arso dal sole.
LI CONOSCIAMO solo attraverso il soprannome, scutmai nel dialetto locale, «che diceva chi erano davvero» e «come se il nome che stava all’anagrafe fosse solo una formalità». Come Lontra, che «si chiamava così perché un giorno incrociando in bicicletta per le strade basse una nutria schiacciata da un’automobile (…) aveva esclamato con una certa sicurezza e soprattutto con la voglia di mostrare che lui sapeva che animale fosse, Guardate, una lontra!»- Gli amici avevano accolto con una gran risata quell’affermazione e «per diverso tempo dopo quell’episodio i piccioni erano diventati colombe e le colombe topi, i gatti erano sciacalli e i cani criceti». E lui era diventato per sempre Lontra.
Quando i «nuovi venuti», in realtà compagni di scuola di alcuni, vicini di casa di altri, la famiglia dei titolari dell’unica pizzeria d’asporto del paese – tra loro anche un ragazzo marocchino che si dimostrerà invece un abile calciatore – cominceranno ad occupare l’ambito terreno di gioco, l’orizzonte muterà senza però mai volgere al dramma. Come ne La guerra dei bottoni le schermaglie, condite di qualche pavida bugia, resteranno sul terreno di un conflitto annunciato ma mai consumato davvero.
Mentre l’estate scorre via in attesa delle partite degli Azzurri, i ragazzini che apparivano disposti a tutto pur di riconquistare quel tempio rurale dove celebrare nel gioco del calcio l’identità di un «noi» ereditato dai padri e forse dai nonni, un «noi che ti proteggeva e rassicurava, che ti faceva sentire un po’ a casa», si scopriranno capaci di allontanarsi senza timore da tutto ciò. Imparando a essere anche «singoli e soli». E qualcuno di loro, perfino, a giocare a cricket.
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