I turbamenti di un cuore nero
FESTIVALETTERATURA 2024 Intervista a Davide Coppo, autore di «La parte sbagliata» (edizioni e/o). Un romanzo di formazione «a destra» presentato sabato 7 settembre alla kermesse letteraria di Mantova che prende il via mercoledì 4. «Come si diventa fascisti a 15 anni? Non esiste un modello: scegliere il male non è una malattia per cui c’è un vaccino. Ettore lo fa perché cerca una comunità, solo dopo per politica». «Il vittimismo o "la retorica della sconfitta" è l’ingrediente fondamentale di tutta la narrazione neofascista o postfascista. Dagli anni ’60 al governo in carica»
FESTIVALETTERATURA 2024 Intervista a Davide Coppo, autore di «La parte sbagliata» (edizioni e/o). Un romanzo di formazione «a destra» presentato sabato 7 settembre alla kermesse letteraria di Mantova che prende il via mercoledì 4. «Come si diventa fascisti a 15 anni? Non esiste un modello: scegliere il male non è una malattia per cui c’è un vaccino. Ettore lo fa perché cerca una comunità, solo dopo per politica». «Il vittimismo o "la retorica della sconfitta" è l’ingrediente fondamentale di tutta la narrazione neofascista o postfascista. Dagli anni ’60 al governo in carica»
Ettore non ha che 15 anni quando si avvicina ai giovani neofascisti del suo liceo, nel centro di Milano. Non si tratta di una chiara scelta politica, cerca un gruppo, «una comunità», qualcosa e qualcuno che lo aiuti a dare un senso a un’adolescenza che gli appare vuota, priva di senso, carica di incertezze da sfatare con un’appartenenza forte e sicura, soprattutto ben visibile dall’esterno. La troverà così ne La parte sbagliata, quella che dà il titolo al bel romanzo di Davide Coppo (edizioni e/o, pp. 252, euro 18), nel quale l’autore ritorna, almeno in parte e a più di vent’anni dai fatti, sulla propria fascinazione adolescenziale per l’estrema destra.
Di famiglia borghese, arriva da un comune dell’hinterland, Ettore si sente estraneo al mondo che osserva, in classe, tra i coetanei, in casa: sarà anche questo ad avvicinarlo alla «Federazione» – gruppo che somiglia al nucleo giovanile di un partito istituzionale dell’estrema destra. La «politica» verrà dopo, attraverso notturne e febbrili letture online, come anche la scoperta della violenza, subita e inferta. Con una lingua piana che scorre come in un memoir, La parte sbagliata mette in scena un frammento drammatico della vita di un ragazzo, senza giudicare o voler offrire delle lezioni morali, ma consentendo di guardare dall’interno ad una scelta dettata a un tempo dalla paura e dall’odio, foriera di ulteriori possibili passi verso il baratro. Un romanzo tenero e potente che aiuta a comprendere meglio ciò che abbiamo intorno ma spesso stentiamo a mettere a fuoco.
Coppo sarà tra gli ospiti del Festivaletteratura, che si apre a Mantova mercoledì, e parteciperà sabato 7 all’incontro «Uomini e donne» (ore 21.30, Chiesa di Santa Maria della Vittoria).
«Perché si diventa fascisti, quando si è giovani così e tutto è ancora intero?». Ettore, il protagonista di «La parte sbagliata», si interroga così mentre inizia il suo percorso verso l’estrema destra. Partiamo dal quesito che accompagna l’intera vicenda descritta nel romanzo: dal suo punto di vista, come si diventa fascisti a 15/16 anni?
Tutto il romanzo, per me, continua a dire che una risposta sola non c’è. C’è un tentativo di rispondere per quanto riguarda Ettore, ed è però una risposta che riguarda solo lui e la sua storia: anche quella di Ettore è una questione privata. Perché non penso esista un modello unico: scegliere il male non è una malattia per cui ci può essere una cura come un vaccino. Ettore – e come lui, penso, diversi ragazzi e ragazze – sceglie quella strada per una questione di comunità, prima, e di politica soltanto successivamente. Cercava un’identità, la trova in quella simbologia e in quei miti, in quella narrazione, in quella sorta di «manuale della gioventù» che l’estrema destra ha sviluppato e mantenuto più o meno inalterato dal Dopoguerra in poi. L’ideologia arriva dopo, come una sorta di studio, di conferma.
Ettore appare isolato, incerto, estraneo all’ambiente del liceo che frequenta. Parla della propria scelta come di qualcosa di legato all’«estetica» e all’«identità», ma si ha l’impressione che sia l’avversione dell’ambiente circostante a fornirgli la spinta verso l’estrema destra, a definire la sua personalità. Si considera una vittima, e perciò implicitamente un avversario della società in cui vive?
Il vittimismo o, per dirlo in modo più lusinghiero, la retorica della sconfitta e della dannazione è l’ingrediente fondamentale di tutta la narrazione neofascista o postfascista, da sempre. Lo vediamo sia nel modo di comunicare del Governo in carica, per cui esiste sempre qualche potere forte da combattere con armi impari (la cultura di sinistra, l’intellighenzia, l’Europa, la magistratura), sia nella narrazione di tutto il neofascismo italiano degli anni ’60, ’70, ’80: Amici del vento, la canzone più famosa dell’omonimo gruppo di «musica alternativa» (folk di estrema destra) dice per esempio: «Se la maledizione ce la portiamo addosso/ La bruceremo insieme col primo straccio rosso». Quindi sì, anche Ettore parte da questa sensazione di emarginazione, e trova la stessa retorica nel gruppo in cui finisce, declinata in salsa politica. Anche questo è un collante per la comunità, e si riconosce immediatamente in quei sentimenti.
Più che nella «Federazione», la formazione politica di Ettore avviene in rete. Una forma di acculturazione ideologica che ricorda, con le dovute proporzioni, quella degli adepti della jihad o dei suprematisti bianchi, che si compie in solitudine, lontano dal confronto anche con i propri «camerati». Una caratteristica generazionale o psicologica, o qualcosa di proprio ad ambienti chiusi all’esterno?
Ettore è diverso dai suoi camerati: continua, comunque, a chiedersi il perché della sua scelta politica, ne dubita di settimana in settimana, sente il peso dello stigma che, pur silenzioso, gli trasmette la sua famiglia (non solo i genitori, anche la nonna, e quello zio morto nei campi di concentramento tedeschi) e la società tutta. Quindi la sua ricerca di conferme, e allo stesso tempo di radicalizzazione, è solitaria. È così di carattere: diffida del gruppo, e dopotutto non si sente a casa nemmeno nella comunità che ha trovato. Il romanzo è ambientato nei primi anni Duemila, un momento in cui la cultura dei forum (anche se non quelli celebri di oggi, come Reddit e 4chan) era al suo apice. E produceva anche cultura, dibattito e informazione, naturalmente, non solo storture politiche.
L’antisemitismo emerge a più riprese nel gruppo in cui si muove Ettore, mentre i vertici della Federazione cercano di celarlo all’esterno. Un contesto che sembra ricordare le inchieste sui giovani di Fratelli d’Italia. Per ciò che racconta nel libro e ha respirato in quell’ambiente, l’odio per gli ebrei e il negazionismo sulla Shoah sono intrecciati alla cultura di questi giovani?
Non voglio parlare troppo della mia esperienza, ma i video che ho visto nelle inchieste sui giovani di Fratelli d’Italia mostrano un contesto più verbalmente violento, becero, direi anche poco furbo rispetto a quello che ricordo io. Forse c’entra anche il fatto che Roma è una città, nel contesto dei movimenti giovanili neofascisti, molto più a destra di Milano, oggi.
L’esperienza di Ettore è segnata da una sorta di vittimismo nei confronti della realtà circostante, lui si muove in una piccola realtà gelosa della propria «differenza» rispetto al resto dei coetanei. Come si concilia questa visione con un contesto nel quale l’estrema destra è al potere: in altre parole come si sentirebbe Ettore se alla guida del Paese ci fosse, come accade oggi, una donna che la pensa o l’ha pensata a lungo come lui?
Queste sono domande che trattano il romanzo cercando di travestirlo da autofiction o da narrative non-fiction. E quindi non saprei rispondere. Posso dire che gli anni in cui è ambientata la storia di Ettore, dal 2000 al 2006 circa, sono lontani anni luce da quelli attuali. Lo stigma della scelta proibita, allora, era forte, presente, avvertibile quotidianamente. Oggi non c’è più.
Malgrado la presenza del neofascismo sia una costante della storia italiana, l’indagine letteraria intorno a questo tema conta pochi capitoli – da «Occidente» di Camon a «L’odore del sangue» di Parise, fino ai recenti «Il continente bianco» di Tarabbia e «Dalla stessa parte mi troverai» di Mira, per non citare che i titoli più noti. «La parte sbagliata» si inscrive in un filone che, raccontando delle vicende personali, ci dice qualcosa della realtà del Paese, specie in un momento come questo?
Non ho mai pensato a un filone che unisse diverse esperienze letterarie per ciò che raccontano. Più che di filone, potremmo parlare di una piccola biblioteca, perché dal punto di vista letterario lei cita opere molto diverse. Per rimanere ai titoli di questi ultimi anni, mi sento certamente vicino a Tarabbia, che ha raccontato una storia davvero affascinante, ma lontano da Mira: non sento il bisogno di giustificarmi, di scusarmi, di mostrare quanto la mia vita si sia ripulita da quello sbaglio. Non penso sia una responsabilità da dare a un romanzo di finzione. In realtà io concepisco La parte sbagliata in primis come un romanzo di formazione che parla di un argomento di attualità, e solo in seconda battuta come un romanzo sulla politica. Per questo, un modello a cui ho guardato molto è La scuola cattolica di Albinati.
Una domanda inevitabile: quando e perché ha deciso di lasciare l’ambiente dell’estrema destra e cosa direbbe a un giovane come Ettore non tanto per fargli cambiare idea, ma per invitarlo a riflettere sulle proprie scelte senza guardarsi intorno con dolore, paura e odio?
È la domanda a cui non so mai rispondere. Io ho cambiato strada a 17 anni circa, e il perché non lo ricordo precisamente: a poco a poco mi resi conto che la mia morale si andava discostando in modo sempre maggiore da quella che avevo frequentato in precedenza. Feci in tempo – un grande classico dell’adolescenza – a votare quindi Rifondazione Comunista alle elezioni del 2006. Per i consigli, è difficile parlare in generale. L’adolescenza è un momento complesso ed è bene provare tutte le emozioni dello spettro, anche le più estreme, come si provano le malattie nell’infanzia per poterne essere immuni più avanti. La parola che penso sia più preziosa, allora, è «empatia». Usarla non è affatto semplice, però.
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