Sintetizzare il numero di donne, uomini e bambini morti nel 2022 nel tentativo di giungere in Europa mette in evidenza le responsabilità di vari governi italiani in quella che può essere definita una delle più gravi tragedie dell’umanità degli ultimi decenni. Secondo ad esempio Emilio Drudi, collaboratore di Tempi Moderni, nel corso del 2022 sarebbero morti più di 10 profughi al giorno nel tentativo di arrivare in Europa. In tutto, 3.724 persone, quasi il 3% in più delle 3.619 vittime del 2021. Morti di cui ha responsabilità un’intera classe politica che ha deciso di annientare vite per garantirsi voti e potere. Delle 3.619 vittime, 3.403 sono state inghiottite dal mare e 321 invece sulle vie di terra africane, del Medio Oriente o della rotta balcanica.

Ancora secondo Drudi la rotta via mare più pericolosa è quella spagnola (l’Atlantico verso le Canarie e il Mediterraneo occidentale), con 1.607 vittime, una ogni 17,9 migranti arrivati, in aumento rispetto a 1 ogni 27 nel 2021. In forte crescita anche il tasso registrato nel Mediterraneo orientale: 1 ogni 23,4 arrivi per un totale di 391 morti rispetto a quello di 1 ogni 72,3 precedente, con un totale di 104 vittime.

Quanto al Mediterraneo centrale, il dato assoluto delle vittime è tra i più alti mai registrati. Una tragedia che deriva dai muri eretti dall’Ue per tenere fuori i profughi a qualsiasi costo. Ne sono vittime, oltre ai 3.719 morti del 2022, anche i circa 200 mila bloccati e respinti dalle polizie degli Stati che si sono accordati con l’Ue per svolgere il lavoro sporco di sorvegliare i confini dell’Unione: Turchia, Egitto, Sudan, Libia, Niger, Tunisia, Algeria, Marocco… Paesi a cui abbiamo dato denaro, armi, copertura istituzionale, per respingere, perseguitare, torturare, a volte uccidere donne, bambini, uomini in fuga dalle dittature e dai cambiamenti climatici.

Un ulteriore giro di vite si è avuto proprio sul finire del 2022 con il prolungamento dei valli fortificati eretti a difesa delle frontiere europee, arrivati a 1.500 chilometri. O con i nuovi decreti contro le Ong. La premier Meloni le ha accusate, in sostanza, di non svolgere operazioni di salvataggio ma di «fare da traghetto» attraverso il Mediterraneo centrale per i migranti imbarcati dai trafficanti. Un’accusa in piena continuità con quanto già affermava nel 2017 il ministro dell’Interno Minniti del governo Gentiloni e poi i governi Conte 1 (al Viminale Salvini e alla Farnesina Di Maio, che parlò di «taxi del mare»), Conte 2 e Draghi, in entrambi con agli interni la ministra Lamorgese la quale riuscì a bloccare le unità delle Ong più dei famigerati «decreti sicurezza» precedenti, sempre con l’accusa mai provata di una sostanziale «complicità» con le organizzazioni criminali dei trafficanti.

Il nuovo decreto Meloni-Piantedosi è la chiusura del cerchio. Esso impone alle navi delle Ong di portare immediatamente a terra i naufraghi e dunque, di fatto, vieta di fare ulteriori salvataggi dopo il primo o di intervenire tempestivamente in caso di altre segnalazioni di pericolo. Infatti, come dimostrano gli ultimi casi, per lo sbarco non si sceglie «il posto sicuro più vicino» e raggiungibile nel minor tempo possibile, ma una località che richiede giorni di navigazione. Secondo poi impone l’obbligo, per il comandante della nave, di verificare chi tra i naufraghi tratti in salvo abbia intenzione di chiedere la protezione internazionale, imponendo, di fatto, la presentazione della domanda direttamente sulla nave, in modo che l’incombenza di esaminarla sia dello «stato di bandiera» dell’unità di soccorso. Una procedura più volte rigettata perché l’accesso alla protezione internazionale nell’Unione europea prevede che «quando la nave si trova in acque internazionali non si possono presentare richieste di asilo perché esse vanno formalizzate dalle autorità nazionali preposte, alla frontiera e nel territorio dello Stato inteso in senso stretto comprese le acque territoriali».

I due punti della «disciplina» Meloni-Piantedosi sono in aperto contrasto con il diritto internazionale e con le Convenzioni a cui l’Italia ha aderito, a cominciare da quella di Ginevra del 1951 sui diritti dei rifugiati e da quella europea sui diritti umani. Le Ong denunciano queste politiche in modo netto: «Dal 2014 – si legge nel loro documento – le navi del soccorso civile stanno colmando il vuoto che gli Stati europei hanno deliberatamente lasciato, interrompendo le loro operazioni Sar. Adesso il governo italiano ha introdotto un insieme di regole che ostacolano gli interventi di soccorso, esponendo le persone in difficoltà in mare a rischi ulteriori gravissimi…». Un primo risultato intanto è stato ottenuto. La Commissione europea ha ammonito che tutti i i Paesi membri «devono rispettare la legge internazionale e la legge del mare». Un piccolo passo in avanti. Insomma, se il 2022 è stato una tragedia, il 2023 si apre con la netta opposizione del governo Meloni a chi salva vite nel Mediterraneo in piena continuità coi suoi complici predecessori.