Il processo Regeni si deve fare. La Corte costituzionale, accogliendo la richiesta del Gup di Roma, ha stabilito che i quattro cittadini egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore italiano potranno essere sottoposti a giudizio anche se risulta impossibile notificare loro gli atti. Si tratta di Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif, tutti appartenenti ai servizi segreti del Cairo. A loro la procura di Roma ha contestato i reati di sequestro di persona pluriaggravato, lesioni aggravate e concorso in omicidio aggravato.

IL PROCESSO però si era bloccato lo scorso aprile, quando la Corte d’assise di Roma aveva ritenuto impossibile andare avanti perché i quattro erano irreperibili ai fini delle varie notifiche di legge. In quella sede l’avvocatura dello stato aveva detto che le autorità egiziane non stavano collaborando con quelle italiane e, di fatto, stavano impedendo che si rintracciassero gli imputati. Da qui la decisione del gup di rivolgersi alla Corte costituzionale.

E COSÌ IERI la Consulta ha stabilito che è da ritenere incostituzionale il comma tre dell’articolo 420-bis del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dalla Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa». È nella sostanza quello che sosteneva il giudice Roberto Ranazzi nell’ordinanza in cui sollevava la questione di legittimità costituzionale: «Non esiste processo più ingiusto di quello che non si può instaurare per volontà di un’autorità di governo».

GIULIO REGENI, dottorando italiano all’Università di Cambridge, era stato rapito al Cairo nel giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, il 25 gennaio del 2016. Il 3 febbraio il suo corpo venne ritrovato in un fossato lungo la strada che collega il Cairo ad Alessandria, non distante da una prigione dei servizi segreti egiziani. Adesso, con la decisione dei giudici costituzionali, dopo una lunga trafila non solo giudiziaria, finalmente si vede uno spiraglio di giustizia.

LA NOTIZIA è stata accolta con soddisfazione dalla famiglia Regeni. «Avevamo ragione noi – fanno sapere attraverso il loro avvocato Alessandra Ballerini -. Ripugnava al senso comune di giustizia che il processo per il sequestro le torture e l’uccisione di Giulio non potesse essere celebrato a causa dell’ostruzionismo della dittatura di al-Sisi per conto della quale i quattro imputati hanno commesso questi terribili delitti».

E SE DALLE PARTI del governo e dei partiti di maggioranza la decisione della Consulta non viene commentata, dalle opposizioni invece si esulta.«La decisione della Corte Costituzionale di sbloccare il processo per l’omicidio di Giulio Regeni dimostra che avevano ragione i suoi genitori. Anche se i torturatori di Giulio si sottraggono alla giustizia, coperti dall’Egitto, quel processo si deve fare e si farà», scrive sui suoi social la segretaria del Pd Elly Schlein. Il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni parla di «decisione che restituisce un po’ di fiducia a chi crede nella giustizia», mentre dai Verdi Angelo Bonelli annuncia che presenterà alla Camera un ordine del giorno per impegnare l’esecutivo a costituirsi parte civile «contro gli assassini e il governo egiziano» in modo che «la nostra nazione prenda una posizione ferma e decisa in questo grave fatto di cronaca internazionale». Per il pentastellato Giuseppe Conte, la decisione della Corte costituzionale «può determinare una svolta di grande portata. Da anni ci battiamo per la verità».

IL PROCURATORE di Roma Francesco Lo Voi commenta infine esprime «grande soddisfazione per la possibilità di celebrare un processo secondo le nostre norme costituzionali, che restano il faro del nostro lavoro. Per il resto aspettiamo le motivazioni per vedere come procedere sperando di trovare la parte civile al nostro fianco nelle fasi successive».