Quattro anni e mezzo di carcere e 13 anni di inabilitazione da incarichi pubblici: questa la condanna, in primo grado, sentenziata dal Tribunal Superior de Justícia de Catalunya nei confronti della ex presidente del parlamento catalano Laura Borràs, presidente di Junts per Catalunya, la formazione indipendentista di Carles Puigdemont. Borràs è accusata dei reati di falsità documentale e di prevaricazione per alcune irregolarità commesse durante la sua presidenza della Institució de les Lletres Catalanes, un organismo che dipende dalla consiglieria della Cultura e che ha per compito la promozione della letteratura catalana.

La pena di prigione è così sproporzionata che il tribunale suggerisce al governo spagnolo di prevedere un indulto per ridurla a meno di due anni ed evitare così l’entrata in prigione dell’accusata. In questo caso, dunque, il tribunale si avvale di una possibilità presente nel Codice Penale, adducendo di essere obbligato dalla legge a imporre una pena privativa della libertà personale di una durata non inferiore a quella sentenziata, che riconosce però essere eccessiva. E rinvia la palla al governo spagnolo, con conseguenze evidenti di destabilizzazione del quadro politico.

La sentenza, nei confronti della quale è possibile interporre ricorso presso il Tribunal Supremo, ha registrato il voto contrario di una dei magistrati che avrebbe voluto condannare Borràs solo con una pena di inabilitazione. Secondo il tribunale catalano, Borràs, in qualità di presidente dell’istituto delle lettere catalane, avrebbe frazionato 18 contratti di valore inferiore ai 18.000 euro ciascuno, per aggiudicarli a un amico, Isaías Herrero, per un programma di mantenimento del sito web dell’istituzione, senza passare per un concorso pubblico. In più, Borràs avrebbe simulato l’aggiudicazione dei lavori che erano già stati incaricati a Herrero, per mantenere l’apparenza del rispetto dei principi di pubblicità e libera concorrenza.

I fatti contestati risalgono agli anni tra il 2013 e il 2017. Il frazionamento dell’appalto risulterebbe dallo scambio di mail intercorso tra Borràs ed Herrero, assunte come prove. Il procuratore dello Stato richiedeva per Borràs sei anni di reclusione e 21 anni di inabilitazione, più una multa pecuniaria.

Tutta questa vicenda ha riacutizzato le divisioni interne all’indipendentismo catalano, tra la parte più radicale vicina a Puigdemont che scommette su un confronto/scontro con lo Stato e quella più pragmatica rappresentata da Esquerra Republicana che crede nel dialogo col governo spagnolo. Borràs si proclama innocente, assicura di non volersi rassegnare a una sentenza che «cerca di distruggere il movimento indipendentista». Sulla stessa linea, il suo partito, Junts, che parla di persecuzione politica e lascia in sospeso il futuro della presidenza del parlament, vacante dall’inizio del processo giudiziario.

Il presidente della Generalitat Pere Aragonès afferma che i fatti provati nella sentenza sono gravi perché riguardano delle risorse pubbliche, che non si tratta di una causa politica e non c’è perciò alcuna relazione con la repressione nei confronti dell’indipendentismo e che i partiti devono accordarsi per eleggere un nuovo presidente del Parlamento per proteggere l’istituzione.

Aragonès si riferisce alla soluzione di indulto indicata dai giudici per evitare la prigione a Borràs. E il cerino torna nelle mani di Pedro Sánchez, col rischio di provocare un incendio. Perché la sentenza definitiva si avrà entro la fine dell’anno e a dicembre, in Spagna, si celebrano elezioni politiche.