La coalizione sfida Orbán. L’incognita guerra sul voto ungherese
L’ultimo comizio di Viktor Orbán a Szekesfehervar, in Ungheria – Ap
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La coalizione sfida Orbán. L’incognita guerra sul voto ungherese

Domani alle urne Fidesz, il partito del premier, resta favorito, ma l’eterogenea alleanza capeggiata dal cattolico Márki-Zay ci spera. Elettori chiamati ad esprimersi anche per il referendum sulla legge anti-Lgbtq
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 aprile 2022

A poche ore dalla tornata elettorale di domenica in Ungheria le forze governative sono alle prese con una situazione inedita: per la prima volta dal 2010, cioè da quando Viktor Orbán è tornato al potere, si presenta al voto un’ampia alleanza di opposizione che si impegna a operare una svolta nella vita del paese, in caso di vittoria.

GLI ULTIMI SONDAGGI mostrano un lieve vantaggio del Fidesz, su “Uniti per l’Ungheria”, tale il nome della coalizione sfidante. All’istituto Zavecz Research risulta infatti un 41% a favore del partito del premier e un consenso popolare pari al 39% conquistato dagli avversari. Altri sondaggi danno il Fidesz in prima posizione, ma molti analisti mettono in dubbio questi risultati in quanto le inchieste vengono effettuate su un campione molto ristretto; si parla di circa 1.000 persone, e molti sono restii a rivelare le intenzioni di voto.

SECONDO ENDRE HAHN, direttore dell’istituto Medián, potrebbero esserci anche delle sorprese. Uno degli elementi di incertezza è dato dall’effetto della guerra in Ucraina sul voto ungherese. Attualmente Orbán tende a una posizione di ambigua neutralità e afferma che l’Ungheria deve restare fuori dal conflitto. «Non è la nostra guerra, non permetterò che arrivino armi in Ucraina attraverso il nostro territorio», ha affermato in diverse occasioni. E ancora: «In questa guerra non possiamo vincere nulla ma non dobbiamo correre il rischio di perdere tutto. Nessun ungherese deve finire fra l’incudine ucraina e il martello russo».

A PARERE DEGLI ESPERTI, queste argomentazioni completate dall’affermazione a effetto secondo la quale il prezzo della guerra non deve essere pagato dagli ungheresi, stanno funzionando meglio di quelle dell’alleanza di opposizione che invece propende per un’Ungheria leale verso l’Occidente e solidale con l’Ue e la Nato nel difendere l’Ucraina.

La quasi totalità dei sostenitori di Uniti per l’Ungheria considera quella russa un’aggressione e vuole una presa di posizione netta da parte di Budapest. Guarda poi al voto come a un’occasione di cambiamento dopo dodici anni vissuti in arancione (il colore del partito Fidesz).

QUELLA CHE DOMANI si prepara a misurarsi con la maggioranza di governo è un’alleanza che comprende al suo interno diverse tendenze politiche: dai socialisti ai nazionalisti di Jobbik – che tengono a mostrare il loro rinnovamento nel senso del moderatismo – passando per centristi, verdi e liberali. Una coalizione di sei partiti che vuole cambiare il paese, che promette di impegnarsi contro la corruzione del sistema politico e di opporsi al dirottamento di fondi pubblici e provenienti dall’Ue verso ambienti che fanno parte, a diverso titolo, dell’ampia «famiglia governativa». Uniti per l’Ungheria intende ripristinare lo Stato di diritto, ristabilire la libertà di stampa, l’indipendenza della magistratura, riscrivere la Costituzione anche per consentire l’elezione diretta del capo dello stato, e cambiare la legge elettorale. Essa è infatti, per un meccanismo di voto proporzionale al posto di quello misto attualmente in vigore, assicura al Fidesz una maggioranza di due terzi col 40% dei consensi espressi nelle urne dagli aventi diritto.

A CONTENDERE A ORBÁN la poltrona di primo ministro sarà Péter Márki-Zay. 49 anni, conservatore cattolico, sindaco di Hódmezovásárhely, piccolo centro abitato dell’Ungheria del Sud, vincitore alle primarie svoltesi l’autunno scorso in due turni per eleggere il candidato premier. L’opposizione unita ritiene di aver trovato in lui l’uomo ideale in quanto capace di rivolgersi a un elettorato più ampio: al centro-sinistra, ma anche ai liberali e alla destra. Economista, ingegnere e storico, è sostenuto da un ampio movimento civico, oltre che dal blocco di opposizione, e rappresenta ora le istanze di cambiamento di quella parte di paese che non si riconosce nella politica di Orbán. Cioè, di quell’altra Ungheria che spera nel cambiamento e invita gli aventi diritto a invalidare la scheda del referendum sulla cosiddetta legge anti-Lgbtq, pure in programma domani. Sarà un appuntamento alle urne da seguire con particolare attenzione.

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