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La campagna anti reddito non poteva che finire malissimo

La campagna anti reddito non poteva che finire malissimoManifestazione contro la fine del reddito di cittadinanza – foto Ansa

Commenti Se anche partisse davvero a settembre la piattaforma prevista dal governo, ci sarebbe stato bisogno di un lavoro di formazione e di armonizzazione dei sistemi informatici

Pubblicato più di un anno faEdizione del 4 agosto 2023

Con il decreto lavoro il governo Meloni si riprometteva, tra le altre cose, di rivedere in maniera piuttosto consistente il reddito di cittadinanza promettendo di «essere pronto» a costruire un sistema diverso che avrebbe supportato i percettori di reddito nel trovare un lavoro. Nel far questo la destra decideva di dividere la platea in due categorie: i «non occupabili», cioè tutti coloro che avevano all’interno del proprio nucleo familiare un minore, un over 60 o un invalido, e gli «occupabili» cioè tutti quelli che non rientravano nella precedente casistica.

Per i primi la fruizione del reddito di cittadinanza sarebbe continuata fino a dicembre 2023 per poi, successivamente, trasformarsi in Assegno di inclusione, mentre ai secondi si garantivano solo sette mesi di reddito di cittadinanza con la possibilità, a settembre, di poter richiedere il nuovo strumento ideato e cioè il Supporto per la formazione e il lavoro. Punto fondamentale di questa strategia era la creazione di una nuova piattaforma nazionale (SIISL) costruita dall’Inps che avrebbe dovuto gestire entrambe le platee e su cui avrebbero dovuto operare sia i Centri per l’impiego che gli assistenti sociali dei Comuni.

DA MAGGIO sono passati diversi mesi e, nonostante le promesse, messe nero su bianco nel Decreto lavoro, poi trasformato in legge, nulla è stato fatto. Della piattaforma SIISL i contorni sono vaghi e di come e quando sarà realizzata si sa poco; i decreti attuativi, che dovevano essere prodotti entro sessanta giorni, latitano; il potenziamento dei Centri per l’impiego di competenza regionale e su cui sono stanziati i fondi fin dal governo Conte uno ha prodotto poco meno della metà delle assunzioni previste; la vertenza dei Navigator, a cui né il governo né le regioni hanno voluto rinnovare i contratti, nonostante i loro profili professionali sarebbero utilissimi in questo momento, appare ferma al palo; lo stesso progetto Gol (Garanzia occupabilità lavoratori) inserito all’interno del Pnrr mostra diverse debolezze a partire proprio dal mitologico coinvolgimento dei privati i quali faticano a gestire numeri e utenza assai complessi.

Se anche la piattaforma SIISL partisse effettivamente, a settembre, senza intoppi, entro quella data ci sarebbe stato bisogno di un lungo lavoro di formazione per gli operatori per sfruttarla appieno. E di un coinvolgimento degli enti formatori per costruire e condividere corsi di formazione realmente professionalizzanti, oltre a un regime di interoperabilità con i venti sistemi informatici regionali attualmente completamente assente. Grossi dubbi, poi, riguardano la possibilità di accesso dei percettori d reddito di cittadinanza che, giova ricordarlo, per il 72% possiedono la terza media, hanno scarse competenze informatiche e sono lontani dal mondo del lavoro da più di tre anni.

DI TUTTO QUESTO il Governo avrebbe dovuto occuparsi e invece l’unico cenno di vita è stato un messaggio dell’Inps inviato a diverse migliaia di percettori reddito il 28 luglio il quale l’Istituto informava che dal 1 agosto non riceveranno più alcuna forma di sussidio con un inciso finale: «In attesa eventuale presa in carico da parte dei servizi sociali». Una frase poco chiara che ha generato, comprensibilmente, grande confusione tra i percettori di reddito. Il significato della parte finale del messaggio è che, per taluni casi di particolare fragilità multidimensionale, è possibile far transitare il percettore «occupabile» dalle liste dei Centri per l’impiego ai servizi sociali comunali garantendo, così, la continuazione del sussidio fino a fine anno.

Il vero problema è che una strategia di comunicazione doveva essere messa a punto prima, a maggio, e non a ridosso della scadenza dei termini. Il risultato di questo disastro annunciato e facilmente prevedibile è stato l’assalto agli uffici comunali e ai Centri per l’impiego. Il governo, così, scarica la responsabilità di scelte politiche discutibili sui lavoratori degli enti locali in un periodo dell’anno particolarmente critico.

Da più parti si comincia a comprendere che un taglio netto e non graduale di una misura come il reddito di cittadinanza che, in particolare in alcune zone del Meridione, è risultata di fondamentale importanza è stata una scelta feroce. Purtroppo questo è semplicemente il risultato di una campagna martellante contro il reddito di cittadinanza che non è mai uscita dall’ideologia contrapposta. Incapace com’è stata di analizzare, con imparzialità, ciò che si poteva migliorare senza stravolgere uno strumento che, pur con i suoi difetti, andava incontro alla parte più debole della società. Una misura sociale che, di questi tempi, tutte le forze politiche dovrebbero mettere in cima ai loro programmi elettorali per non lasciare indietro nessuno.

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