Europa

La bufera catalana investe la destra

La bufera catalana investe la destraL’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont a Berlino durante una conferenza stampa – Afp

Spagna Dopo il rifiuto tedesco a estradare Puigdemont, traballano tutte le altre detenzioni. Popolari in difficoltà. Per i giudici dello Schwlezig-Holstein non c’è stata «ribellione», semmai peculato: una sentenza che muove dubbi sull’effettiva autonomia della magistratura spagnola

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 14 luglio 2018

Il rifiuto dei giudici dello Schwlezig-Holstein di estradare l’ex presidente catalano Carles Puigdemont per il delitto di «ribellione» e la proposta di farlo solo per quello assai meno grave di «peculato» hanno scatenato una bufera politica in Spagna.

Se gli indipendentisti giubilano (gli avvocati degli altri politici catalani accusati che sono invece in carcere preventivo hanno già chiesto la scarcerazione dei loro clienti), la destra è scatenata.

Nel pieno dello scontro per la segreteria del Partito popolare fra Pablo Casado (considerato più vicino a José María Aznar e ai «duri» del partito) e l’ex vicepresidente di Mariano Rajoy, Soraya Sáez de Santamaría, il caso catalano scalda gli animi. Casado arriva a ventilare l’uscita da Schengen della Spagna come risposta a quella che definisce un’«umiliazione» verso il suo paese, mentre Sáez de Santamaría si limita a chiedere il rispetto per le decisioni giudiziarie sia spagnole, sia tedesche.

Il governo socialista getta acqua sul fuoco e non commenta le decisioni dei giudici, come ricorda la portavoce Isabel Celaá dopo il consiglio dei ministri e delle ministre di ieri, sottolineando di non «condividere» le critiche rispetto all’applicazione dell’ordine di cattura europeo dei popolari. E Puigdemont può ancora fare ricorso contro l’estradizione per peculato.

Certamente non ha molto senso che il capo del governo catalano non possa essere incriminato per ribellione mentre persone gerarchicamente inferiori sì e che per giunta questi ultimi siano in carcere e presto persino privati del loro status di parlamentari: il codice di procedura penale spagnolo prevede che nel caso di accusa per ribellione se gli imputati sono in carcere preventivo, una volta chiusa l’indagine preliminare (cosa che è avvenuta martedì) automaticamente chi occupa pubblici uffici, come i deputati, decada.

La presidenza del parlamento, a cui il giudice dell’Audiencia Nacional Pablo Llarena ha inviato l’atto suggerendo che siano altri deputati a occupare il posto temporaneamente, deve decidere sulla questione la prossima settimana. Llarena intanto potrebbe per la terza volta ritirare il mandato di cattura europeo in attesa che Puigdemont calpesti un paese più docile della Germania, o accettare l’estradizione «limitata» che caricherebbe di ragioni giuridiche chi chiede la revisione delle accuse per gli altri. Ma la questione è assai più delicata.

La stoccata tedesca ha messo in discussione, come sottolineato dal direttore del quotidiano eldiario.es Ignacio Escolar, l’effettiva autonomia della magistratura spagnola dall’esecutivo. L’Audiencia nacional, che ha condotto le indagini sui politici indipendentisti, è un tribunale speciale di diretta emanazione politica (i suoi nove giudici sono nominati da giudici scelti direttamente dal potere politico).

È discutibile giuridicamente che abbia competenza sul delitto di ribellione (le cui ipotetiche prove non sono sembrate solide ai tedeschi) come è discutibile anche che debba essere il Tribunale Supremo spagnolo, e non quello catalano, a dover giudicare per delitti avvenuti in Catalogna.

Non a caso dalla portavoce del governo catalano, Elsa Artadi, è arrivata la richiesta alla nuova procuratrice generale María José Segarra, nominata dal governo Sánchez, di cogliere «l’opportunità» per cambiare i criteri per la pubblica accusa alla luce della decisione tedesca.

Il governo Sánchez intanto sta facendo i salti mortali per evitare di rovinare l’operazione-dialogo con la Catalogna con dichiarazioni spigolose. Anzi, proprio ieri ha lanciato l’ennesimo segnale di pace decidendo di sbloccare tutte le leggi catalane di carattere sociale che il governo Rajoy aveva impugnato davanti al Tribunale costituzionale (storica richiesta dell’esecutivo catalano).

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