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La blanket protest poteva essere la fine e invece fu soltanto l’inizio

Muro della pace nella parte occidentale di Belfast Foto ApMuro della pace nella parte occidentale di Belfast – Foto Ap

Irlanda In Irlanda le date sono fantasmi, simboli. Il primo vero passo verso la nascita della nazione moderna si compì un lunedì di Pasqua, il 24 aprile del 1916. Come ricorda […]

Pubblicato circa un anno faEdizione del 14 settembre 2023

In Irlanda le date sono fantasmi, simboli.

Il primo vero passo verso la nascita della nazione moderna si compì un lunedì di Pasqua, il 24 aprile del 1916. Come ricorda James Stephens «nelle chiese si sentiva gridare ‘Cristo è risorto’ ma per le strade l’urlo era ‘l’Irlanda è insorta».

Sempre nella “settimana santa”, ma ottantadue anni dopo, il 10 aprile del 1998 verranno siglati gli Accordi di Pace sui cui si basa la difficile coesistenza tra repubblicani e unionisti. Un passo impensabile senza quel 5 maggio del 1981 in cui Bobby Sands, volontario dell’Ira, morì dopo 56 giorni di sciopero della fame nei Blocchi H del carcere di Long Kesh.

Una parabola, la sua, che vede una coincidenza oscura e perturbante. Diciannove anni dopo la morte, il 4 maggio del 2000, a morire sarebbe stato anche un suo compagno, Kieran Nugent, da cui aveva preso le mosse la protesta di Sands e degli altri nove giovani, morti dopo di lui rifiutando di nutrirsi.

14 settembre del 1976. Sono passati esattamente 369 anni dall’evento che segnò, in Irlanda, la sconfitta dell’ordinamento sociale gaelico. È detto la “fuga (o il volo) dei conti”. Con la partenza per la Spagna di O’Neill e O’Donnell da Lough Swilly il 14 settembre del 1607, morì definitamente la speranza di un’Irlanda governata da discendenti degli antichi clan gaelici. Ma nel 1976 le vestigia di quella narrazione aristocratica non contano. È tutto molto più normale, ma anche più straordinario.

Nugent, uomo dell’Ira, è stato arrestato per essersi impossessato di un furgone. Tre anni prima, a quindici anni, era scampato miracolosamente a un attentato lealista. Aveva riportato ferite da arma da fuoco in varie parti del corpo, e un suo compagno non ce l’aveva fatta.

L’anno dopo era stato fermato per possesso di armi. Rilasciato, era tornato nei ranghi dell’organizzazione. Di nuovo arrestato e internato nel 1975, aveva scontato nove mesi in cella prima di essere rimesso in libertà.

Nel 1976, però, le cose sono cambiate. A marzo era stato revocato lo statuto di prigioniero speciale per i detenuti repubblicani, che si considerano a ragione prisoners of war. Quando il 16 settembre i secondini porgono a Nugent la divisa carceraria, questo giovane robusto alto quasi un metro e ottanta li guarda a muso duro e risponde: «dovrete inchiodarmela alle spalle».

Di nuovo simboli, di nuovo martiri. Ma Nugent non deve essersene preoccupato. Da tempo andava maturando questa reazione, e una volta arrivato il momento, non s’è tirato indietro. È l’inizio della blanket protest, la “protesta della coperta”, durante cui tanti e tante giovani indossarono, nelle gelide celle nordirlandesi, soltanto una ruvida coperta.

Poteva essere la fine e invece fu soltanto l’inizio. Ben presto i secondini, sentitisi sfidati, iniziano a non consentire più lo svuotamento completo dei buglioli, ma a restituirli ancora sporchi di escrementi e urina. Al che i prigionieri di guerra prendono a svuotarli fuori dalle finestre.

Ma i secondini le sigillano, e allora i prigionieri di guerra decidono di spargerli sulle pareti per farli seccare prima e ridurre il lezzo. È l’inizio della dirty protest, la “protesta sporca”. Alla domanda: «perché decideste di farlo», uno di loro rispose caustico: «meglio spargerli sulle pareti che per terra».

Quando nudi escono di cella per andare nel locale docce vengono picchiati selvaggiamente lungo i corridoi. E allora scelgono di non uscire più. «Ci avrebbero ammazzato nelle nostre celle, i secondini», disse Nugent «se l’Ira non avesse iniziato a farli fuori per strada».

Ogni qual volta muore una guardia carceraria, nei Blocchi H è una festa: «ricordo il direttore Myles. Mi disse: ‘vi spezzeremo’. Me lo strillò in faccia. Poi mi diede uno schiaffo e si tirò indietro per guardare i secondini riempirmi di botte. Quando gli hanno sparato, il 20 dicembre del 1978, la cosa ci tirò molto su di morale».

Questa guerra sporca veniva sostanzialmente ignorata nella Repubblica d’Irlanda. Solo con la fine dell’escalation e col passaggio conclusivo della protesta, lo sciopero di Sands e compagni, la società iniziò a prenderne atto.

Proprio come era avvenuto nella Rivolta di Pasqua del 1916: gli irlandesi si resero conto della brutalità inglese soltanto dopo la fucilazione di tutti i leader dell’insurrezione.

Ma gli artisti no, loro nel frattempo non chiusero gli occhi. Il ricordo di quei sacrifici rivive in tante ballate popolari del periodo. Come questa preziosa di Mick Hanly, resa immortale da Christy Moore: «potete affamare questi uomini e togliergli i vestiti / potete picchiarli finché non cadranno / potete spezzare il corpo ma non lo spirito / degli uomini con la coperta».

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