L’11 giugno, mentre l’australiano Institute for Economics and Peace (IEP), pubblicava il suo Indice globale del terrorismo 2024 in cui metteva il Burkina Faso al primo posto al mondo tra i Paesi più colpiti, a Mansila, proprio in Burkina Faso, infuriava la battaglia. Una battaglia campale, i cui effetti non tarderanno a farsi vedere.

Mansila è una località burkinabé al confine con il Niger, uno dei teatri di quello che è oggi il conflitto più esteso e transnazionale al mondo, che vede fronteggiarsi, in una specie di tutti contro tutti, separatisti Touareg, Isis, al-Qaeda, mercenari russi e gli eserciti nazionali di Mali, Burkina Faso e Niger, alleati e guidati da giunte militari.

L’11 giugno circa 450 miliziani islamisti, armati di kalashnikov e Rpg e a bordo di motociclette, appartenenti al Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim), hanno attaccato un campo militare delle Forze armate del Burkina Faso a Mansila: secondo un comunicato del Jnim «la vendetta per i crimini commessi dall’esercito e dalle milizie» ha portato a un ricco bottino. Almeno 110 militari uccisi nello scontro, che ha visto anche 60 vittime civili e l’occupazione del campo militare, oltre al furto di 142 fucili e 449 caricatori, 11 mitragliatrici PK e 51 bandoliere, 13 lanciarazzi, 70 razzi, 2 mortai e 12 obici, 51 casse di munizioni per armi pesanti, un drone armato e tre veicoli blindati.

Nel bottino, mostrato in alcune immagini dalla propaganda del Jnim, è interessante notare la presenza di fucili slovacchi, come il M05E1 Zastava, e di fucili cinesi Type 56-1 e 56-2. Nei video della propaganda del Jnim vengono mostrati anche diversi ostaggi (sarebbero almeno 150): uno di loro sostiene di chiamarsi Traoré e di essere parente del leader della giunta militare burkinabé, Ibrahim Traoré.

«Successivamente, gli assalitori sono andati nel villaggio, anno selezionato alcune persone, chi uccidere e chi lasciare in vita. Hanno salvato le donne, lasciandole andare verso altri villaggi, ma hanno saccheggiato tutti i viveri» che erano stati consegnati al villaggio come aiuti umanitari due settimane prima. «Poi hanno dato fuoco a tutto il resto», dice una fonte del manifesto da Ouagadougou, che ha la famiglia proprio a Mansila e che chiede l’anonimato per ragioni di sicurezza. «Le autorità non parlano delle sconfitte e non ammettono critiche» ci spiega.

Secondo il Global terrorism index, nel 2023 in Burkina Faso si sono registrati ben 1.907 morti legati al terrorismo e 442 feriti. Le morti per terrorismo sono aumentate costantemente ogni anno a partire dal 2014, quando non si registravano decessi, e sono cresciute da 1.135 nel 2022 a 1.907 nel 2023, un aumento del 68%. Nel 2023 i civili sono stati circa la metà delle vittime del terrorismo in Burkina Faso, con 1.132 morti, ovvero oltre il 59% di tutti i decessi legati al terrorismo nel Paese. Si tratta di un aumento di oltre il 56% rispetto all’anno precedente.

Sono numeri che confliggono con la propaganda della giunta militare, che racconta ogni giorno di grandi battaglie e grandi vittorie. Tuttavia, le manovre militari raccontano una reazione importante: in seguito all’attacco di Mansila tre aerei russi da trasporto Ilyushin Il-76 hanno trasferito a Ouagadougou, da Bamako, mezzi militari e almeno una quarantina di uomini dell’81esima brigata russa di volontari Spetsnaz, denominata “Bears”, parte del nuovo contingente russo Africa Corps: si tratta di compagnia privata, parte dell’azienda di sicurezza russa Redut, divenuta una struttura semi-formale del ministero della Difesa russo, controllata completamente dal GRU, i servizi segreti esteri russi.

Questi rinforzi tuttavia stanno creando malcontento all’interno dell’esercito burkinabé: il 12 giugno lo Stato maggiore dell’Esercito ha pubblicato un avviso di “allerta generale” e ordinato l’avanzamento sul fronte dei soldati basati a Dori per lanciare una controffensiva ai jihadisti e vendicare Mansila, ma anche per cercare di mettere in riga i ranghi e controllare gli sbalzi d’umore delle truppe, che sostengono di essere male attrezzate e mal pagate. Di fronte al rifiuto di avanzare dei soldati burkinabé la giunta militare si è rivolta a Mosca, cosa che potrebbe aumentare il malcontento perché i mercenari russi hanno stipendi tra i 2.500 e i 4.000 euro mensili, anche dieci volte superiori ai soldati.

Questo scenario restituisce una situazione tesa ed incerta: nel 2021, quando al potere non c’erano ancora i militari, la miccia che fece esplodere il colpo di Stato del colonnello Damiba fu una strage di soldati, quella di Inata, con una cinquantina di morti. Pochi mesi dopo un’altra strage di soldati, con una ventina di morti, creò le condizioni per la caduta di Damiba e il golpe di Traoré.

Per evitare un nuovo ammutinamento, Traoré avrebbe ingaggiato i russi chiedendo loro di occuparsi anche della sicurezza personale del Presidente del Burkina Faso, ovvero di se stesso.